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Il Settecento a Roma

| Mercoledì 23 Novembre 2005 - 14:28 | Gianni Franceschetti |

Winckelmann così definiva il clima di Roma nel 1756: “Se vuoi conoscere gli uomini, questo è il vero sito, uomini di straordinari talenti e di nobilissimi requisiti... la libertà in altri Stati ed in altre Repubbliche non è che un’ombra rispetto alla libertà di Roma...Qui si gode il privilegio di pensare in maniera tutta propria” perchè la Città eterna era, allora, la capitale della cultura e crocevia d’Europa per le arti e la ricerca dell’antico, dove vigeva un fervido dibattito di idee, lo sviluppo delle scienze e il perseguimento del bene sociale.
La mostra allestita nelle sale del Palazzo di Venezia che conta ben 230 opere di pittura, scultura, archeologia, arredamento, costume e libri e disegni provenienti da musei e collezioni private e pubbliche di tutto il mondo e che resterà aperta al pubblico fino al 26 febbraio 2006, si presenta come un viaggio nell’arte che, partendo dal tardo Barocco, raggiunge la modernità. Di queste opere molte tornano a Roma per la prima volta ed altre sono state, per l’occasione, restaurate.
Il volto della Città dell’epoca si può leggere nelle più varie sfaccettature che promuovono la Roma antica e quella moderna come illustrata dai due famosi dipinti di Giovanni Paolo Panini (Piacenza 1691- Roma 1765) provenienti dal Metropolitan Museum di New York, che aprono l’esposizione.
Il percorso si sviluppa in senso cronologico e tematico e parte dall’imbrunire del Barocco con l’accogliere testimonianze di artisti italiani e stranieri residenti a Roma i quali ne interpretano la stagione che si dissolve con la grazia che segue il buon gusto dettato da quell’accademia letteraria che era l’Arcadia la quale andava di conserva con quell’Accademia di San Luca che agiva a Roma con assoluta padronanza e con quella serietà che ne ha sempre distinto l’azione sia didattico che di grande prestigio morale ed artistico e della quale furono principi i maggiori artisti fino ad oggi.
Punto focale di questa stanza diventa così il celebre dipinto di Carlo Maratti “Apollo che incorona il marchese Pallavicini” al quale fanno corona la statua di S. Tommaso di Pierre Le Gros (Parigi 1666 – Roma 1719) ed i dipinti del grande Corrado Giaquinto (Molfetta 1703-Napoli 17659 e di Marco Benefial (Roma 1684-1764). Di seguito si ammirano ancora quadri di Panini e di altri interpreti del clima romano ricco di feste, maschere, teatri e cerimonie religiose di grande spettacolarità.
La sezione archeologica si ammanta di gloria con lo spettacolare “Fauno” di marmo rosso antico cui fanno da coribanti la statua romana della musa “Polimnia” e il mosaico “Lotta delle fiere” del secondo secolo d.C. Ad essi fanno riscontro i tanti ritratti di signori e dame gaudenti che segnarono la vita di nobili stranieri venuti a Roma in viaggio formativo, come quello del conte di Leicester dipinto da Pompeo Batoni (Lucca 1708-Roma 1787), che mostra quanto quegli stranieri stimassero i pittori italiani e quanto la Roma festaiola dell’epoca avesse fatto breccia sul sussiego d’oltralpe. Uno di loro Charles De Brosses così espresse nel 1739 il suo giudizio su Roma: “Non so se vi sia alcuna altra città in Europa più piacevole, più comoda e dove mi piacerebbe di abitare se non questa, senza fare eccezione nemmeno per Parigi”. Non solo Arcadia quindi ma anche l’Illuminismo che si impone e l’arte che ne sente il fiato sul collo. E’ il secolo nel quale si assiste alla compresenza del sacro col profano perchè la cultura non poneva limiti alla conoscenza e dovunque si cercava e trovava materiale idoneo a suggerire dipinti, statue, teatro, poesia e filisofia.
Bene, questa è l’atmosfera che si gode nel percorrere le sale della mostra ove la conturbante “Donna velata” di Antonio Corradini (Este 1668- Napoli 1752) sorride maliziosa, quasi invitante a non correre, a camminare piano piano sorbendo quell’atmosfera di magia che le tante opere d’arte trasmettono e che torneranno in seguito ad allietare i nostri sogni.
Sono tanti gli artisti che nominarli tutti sarebbe difficile ma è necessario tener presente che gli ordinatori della grande mostra hanno dimostrato tutta la loro sensibilità e dottrina esponendo oltre alle opere di maestri come quelli nominati e di Antonio Canova (Possagno 1757 – Venezia 1822), di Heinrich Fussli ( Zurigo 1741- Londra 1825), Giovanni Battista Piranesi (Mogliano Veneto 1720 – Roma 1778), Pier Leone Ghezzi ( Roma 1674-1755), Sebastiano Conca (Gaeta 1679-Napoli 1764), Cristoforo Unterberger ( Cavalese 1732- Roma 1798), Felice Giani ( Curone 1758- Roma 1823), Francesco Trevisani (Capodistria 1656 – Roma 1746), Anton Von Maron (Vienna 1731-Roma 1808), Domenico Corvi (Viterbo 1721-Roma 1903), Jaques-Louis David (Parigi 1748-Bruxelles 1825), Giovanni Volpato (Bassano 1740-Roma 1803), Raphael Mengs ( Aussig 1728 – Roma 1779), Gaspar Van Wittel (Amersfoort 1665-Roma1736), Giuseppe Vasi (Corleone 1710 – Roma 1782), Angelica Kauffmann (Coira 1741 – Roma 1807), Nicola Salvi (Roma 1697-1751) e Pierre Monnot (Orchamp-Vennes 1657- Roma 1733), per non dire che dei maggiori, anche lavori di autori quasi sconosciuti ma che hanno saputo fare opere degne di stare nel grande consesso della mostra con notevole dignità. Onore e riconoscenza a coloro che li hanno scovati ed esposti. A tal proposito, il prof. Claudio Strinati, scrive “questa mostra... ha l’ambizione di riesaminare un periodo storico molto vicino alla nostra epoca, senza soprassalti cronologici e senza forzature ideologiche ma con precisi intenti che scaturiscono da una serenità di valutazione delle opere d’arte e delle molte situazioni del tempo, fervido quanto altri mai nella produzione culturale ma difficile da decifrare secondo scansioni su cui ancora oggi non esiste un accordo della storiografia consolidata e, proprio per questo, passibile di nuove ricerche e nuove deduzioni”.
Una chicca è rappresentata anche dalle due opere di quel formidabile scultore che fu Bartolomeo Cavaceppi che burlò fior di critici e di collezionisti ma seppe anche fare sculture di vero pregio. Lì accanto troneggiano busti e teste di epoca romana, recentemente restaurate, e sculture del settecento di notevole valore ed impatto sia artistico che storico ed abiti da gran gala in seta e broccato e terrecotte e bisquit di nobile fattura.
Insomma una grande mostra-evento che ripaga di gran lunga i tre anni di affannosa ricerca e spesso anche lavoro di restauro, che dà il polso del clima culturale, sociale ed artistico di un periodo di grande fervore che fece risplendere Roma sul cielo dell’Europa.

Gianni Franceschetti



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