Se un merito si può attribuire a Bruno Cagli, al di là della professionalità artistica e della managerialità, è quello di saper costruire fantasiosamente proposte culturali che allettano il pubblico e che si inseriscono, riempiendoli, negli spazi “morti” della programmazione, come è di regola il mese di settembre. Con Cagli infatti lo scolorire dell’estate significa un cartellone sfizioso per palati delicati ma robusti. Suoi certi percorsi sinfonici significativi, fra gli altri l’integrale delle sinfonie di Beethoven, o gli spazi destinati a Mozart e ad altri. Suo anche questo Belcanto Festival, una serie di cinque spettacoli che hanno già conosciuto il successo in Canada, affidati al canto di artisti dello star system, ma anche a giovani che si sono formati e raffinati nell’Opera Studio della stessa Accademia. Nella proposta anche Norma di Bellini in forma di concerto (il 26 e 29 settembre). Il Galà d’Ouverture vede sul palcoscenico Celso Albelo, Barry Banks e John Osborn, tutti tenori lirico leggeri, ma estremamente diversi tra loro, non solo per i differenti timbri vocali ma per l’approccio espressivo alla pagina che propongono all’ascolto. Con il termine Belcanto si inquadra un periodo ben preciso, una parabola storico-artistica di trent’anni, gli stessi che separano l’Italiana in Algeri (1813) di Gioachino Rossini dal Dom Sébastien di Gaetano Donizetti . Periodo estremamente creativo e fase di passaggio verso le figure più eccelse del panorama compositivo. Una fase che inquadra la voce del tenore, erede dei vari castrati all’epoca celeberrimi, che oggi per comodità usa definirsi nella classificazione di lirico leggero, e che allora veniva chiamato tenorino di grazia, tenore contraltino, etc. Parti ardue, dalla vocalità estrema, che si esaltano in acuti che raggiungono i limiti delle possibilità materiali dello strumento voce, con virtuosismi alati, con un canto fiorito, cui è devoluto il compito di rappresentare l’eroe. Ma sarebbe errato considerare questi lavori all’insegna del facile effettismo. Spesso in realtà si tratta di coniugare dolcezza del timbro e tessitura acuta, attraverso il percorso accidentato di una preparazione tecnica ferratissima e poi metterli in relazione funzionale con l’interpretazione. Nel concerto dei tre tenori belcantistici, sono in programma nove brani che formano come una antologia, 4 sono di Rossini, 4 di Donizetti e uno di Bizet. Apertura con la Sinfonia del Don Pasquale di Donizetti, ultimo capolavoro buffo, presentato al pubblico del Théâtre des Italiens, dove si ascoltano congiuntamente due delle più belle melodie dell’opera “Com’è gentil” e la celebre cavatina “So anch’io la virtù magica”. L’orchestra è stata condotta egregiamente da Carlo Rizzari, violinista in forza alla compagine ceciliana, cui si devono certi magnifici slanci dinamici che danno ragione soprattutto dei celebri crescendo rossiniani in una bellissima lettura dell’Ouverture dal Guillaume Tell. Affidata alla voce purissima e alla interpretazione intensa di John Osborn ecco la difficilissima “Si, ritrovarla io giuro” da la Cenerentola di Rossini. Il brano è un gioco estremo in cui le agilità coloristiche si evolvono nel canto di grazia e nei tenerissimi “legati”. Drammaturgicamente rappresenta il momento del climax, quando il principe toglie i panni del cameriere e assume tutta la sua possanza per andare alla ricerca dell’amata. Poi lo stesso Osborn si cimenta in “Asile Héréditaire” dal Guillaume Tell, un brano al quale fa da corredo una ricca aneddotica. Intanto il momento che evoca: Arnold, pastore svizzero incapace di prendere posizione fra l’amore per la bella Mathilde, principessa asburgica, della classe perciò degli invasori della sua patria, e la lotta per la liberazione. Si racconta che il tenore che la portò per la prima volta a teatro usasse la tecnica del falsettone per ovviare alle chimeriche volute del canto acuto. Ma le difficoltà del ruolo ben presto convinsero i cantanti dell’epoca a eliminare quest’aria fin quando non giunse sulla scena Gilbert-Luis Duprez, tenore francese ma di scuola italiana, cui si dice si debba l’invenzione del do di petto a partire dal canto sombrè. Affidata a Osborn la difficile aria ha permesso di apprezzare una sensibilità particolare a livello interpretativo, ma anche il gusto di cesellare la nota, la perfetta e scrupolosa gestione dei fiati, dunque una tecnica raffinatissima ancor più rilevante in “seul sur la terre” dal Dom Sébastien Roi de Portugal di Donizetti, una pagina dove le “mezze voci” delicatissime si svincolano dalla tenera saudade e si elevano fino al re bemolle acuto. Il Dom Sébastien è un Grand-Opéra, ovvero un melodramma che utilizza coreografie con funzione drammaturgica, è anche un drammone che chiama in causa l’Inquisizione, le Crociate, amori infelici ed altro ancora. L’opera fu portata al successo da Duprez, che con lo splendore e la dolcezza della voce seppe egregiamente rilevare i sentimenti del Dom Sébastien, quando l’esercito da lui comandato viene decimato dai feroci musulmani del Marocco e lui deve rinunziare alla bella Zayda che, pur amandolo, e salvandogli la vita, è costretta a lasciarlo. Bellissimo timbro vocale è anche quello di Barry Banks, impegnato in “Languir per una bella” dalla rossiniana Italiana in Algeri, in “Una Furtiva Lacrima” dall’ Elisir d’Amore di Donizetti e in “Reggia Aborrita” da Ermione di Rossini, dove canta il ruolo dell’infelice Oreste in un duetto con un piacevolissimo Pilade interpretato da Pablo Martin Reyes, un giovane dell’Opera Studio. Legittimamente infiltrato in questo milieu italiano Bizet dei Pêcheurs de Perles, opera esotica e delicata, quasi una fiaba da “Mille e una Notte” che mostra il pescatore Nadir mentre sotto un cielo diamantato di stelle rievoca la bella fanciulla che l’ha ammaliato. Il brano si intitola “Je crois entendre encore” e presenta nella sua zona centrale una sorta di invocazione alla Nuit enchanteresse, la notte incantatrice, piena di languore e ricca di dolci melismi. Quest’aria è stata il cavallo di battaglia di moltissimi tenori, alcuni grandi del passato come Beniamino Gigli o lo stesso Giuseppe di Stefano l’hanno incisa lasciando una memoria interpretativa dalla quale non è facile discostarsi. Pur nelle differenze, il confronto inevitabile non ha nuociuto a Celso Albelo che ha poi interpretato con correttezza i celebrati nove do di petto di “Ah! Mes amis, quel jour de fête”da “La Fille du Régiment”, prima opera di Donizetti andata in scena a Parigi l’11 febbraio del 1840, che racconta la vita di Marie, orfanella adottata da un reggimento di cui è diventata vivandiera, per approdare poi, conosciuta la sua vera origine, ad un palazzo nobiliare. L’aria di Tonio, appunto “Ah! Mes amis...”racconta il momento in cui il giovanotto tirolese comunica di essersi arruolato per seguire l’amata Marie onde ottenere dal reggimento, padre collettivo della ragazza, l’approvazione alle nozze. Il festival di Belcanto prosegue con “Scene da Prima Donna”, un recital di Mariella Devia accompagnata al pianoforte da Rosetta Cucchi, con “ E ‘l cantar che ne l’Anima si sente” con i giovani artisti di Opera Studio, con un omaggio alla Malibran in occasione del bicentenario della nascita con Cecilia Bartoli e l’Orchestra La Scintilla dell’Opera di Zurigo e, infine, con due serate dedicate alla Norma di Bellini in forma di concerto.
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