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Wall Street: il peggio sta arrivando

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Mercoledì 16 Luglio 2008 – 14:44 – Marzio Paolo Rotondo' stampa
Wall Street: il peggio sta arrivando



Una nuova tempesta finanziaria si sta affacciando sui mercati finanziari americani. Più violenta della prima, quella che ha avuto il culmine del fallimento di Bear Stearn, sventato dall’acquisto sostenuto dalla Federal Reserve da parte di Jp Morgan, la finanza mondiale rischia di assistere alla vera crisi. Barcollano infatti Fannie Mae e Freddie Mac, ovvero 5.300 miliardi di dollari pari al 50% dei mutui Usa, mentre il governo studia un piano di salvataggio. A rischio, sono però circa 150 istituti di credito statunitensi, già indeboliti dalla prima fase e ora colpiti dalla seconda ondata di svalutazioni. Nuovi fallimenti significherebbero nuove difficoltà per tutti, sia nel mondo finanziario che in quello economico mondiale: un’eventualità che apre gravi prospettive negative.
George W. Bush ha chiesto al Congresso, a cui spetta l’ultima parola sul piano di salvataggio, di approvare rapidamente il piano messo a punto dal Tesoro Usa per aiutare Fannie Mae e Freddie Mac. I giganti semipubblici del credito ipotecario sono infatti in grosse difficoltà e necessitano di un aiuto immediato. In una conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente americano ha definito le misure proposte “un chiaro segnale per calmare i nervi”. Più che un segnale, però, sembra esserci bisogno di un miracolo. È infatti una vera e propria catastrofe quella che si prospetta di fronte al governo americano uscente. In tutti i modi, l’amministrazione Bush sta cercando di evitare il peggio, ormai sempre più vicino.
Con il piano di non nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, il segretario al Tesoro Usa Henry Paulson “ha fatto capire chiaramente che la crisi di fiducia che ha investito le due agenzie non inciderà sulla loro capacità di emettere debito”. Tuttavia, “gli interrogativi sulla sostenibilità del capitale permangono”. E questo è il motivo per cui Paulson ha parlato di “un possibile acquisto di azioni delle due compagnie”, ha scritto ieri nella rubrica ‘Heard on the street’ il Wall Street Journal. Secondo il quotidiano statunitense, tra le opzioni al vaglio del Tesoro Usa, oltre alla via maestra, vi è il collocamento di azioni ordinarie che, però, danneggerebbe gli azionisti esistenti, e quello di azioni privilegiate, che rischia tuttavia di rivelarsi eccessivamente oneroso per i conti delle società. La terza opzione invece è che il governo acquisti direttamente quote di capitale di Fannie e Freddie: un esborso poderoso a danno dei contribuenti, ma che rischia di essere inevitabile con il passare del tempo.
“Il governo potrebbe acquistare azioni ordinarie - scrive il quotidiano finanziario Usa - ma rilevare azioni privilegiate con diritti speciali sarebbe la soluzione migliore in quanto verrebbe mantenuta la percezione che le due compagnie sono ancora controllate dagli azionisti. Nel far questo, potrebbe optare per un rendimento più basso rispetto a quello vigente sui titoli attualmente detenuti dagli azionisti privati (quello di Freddie è al 12,5%) al fine di rendere l’operazione più praticabile, oppure rinviare i pagamenti una volta terminata la crisi finanziaria”.
Anche in questo caso, però, si assisterebbe a una diluizione del valore dei titoli detenuti dagli azionisti. “Qualunque sia la strada che percorrerà, Paulson deve fare qualcosa per fronteggiare la questione relativa al capitale - evidenzia il Wsj - se non lo farà, il finanziamento diverrà un problema. E questo costringerebbe il Tesoro a presentare un piano di nazionalizzazione”.
Sull’efficacia del piano elaborato dal governo per salvare le due compagnie erogatrici di mutui c’è dunque ancora molta incertezza. Per alcuni, il progetto elaborato dal Tesoro Usa in favore di Fannie Mae e Freddie Mac non risponde all’interrogativo sul ruolo che nel lungo termine dovranno ricoprire le due agenzie. È quanto scrive il Financial Times, secondo cui l’attuale struttura delle due GSE “è insostenibile”. “Le agenzie sono poco regolamentate, incoraggiano il governo Usa a inflazionare il mercato immobiliare, socializzano i rischi e privatizzano i profitti”, evidenzia l’FT, secondo cui la soluzione migliore sarebbe quella dello spezzatino e della successiva privatizzazione. “Il processo comprenderebbe in primo luogo una fase di nazionalizzazione in cui il debito delle due agenzie sarebbe trasferito sul bilancio pubblico. Si tratterebbe comunque di una mossa cosmetica dato che il governo già sponsorizza le agenzie”.
Sul caso appena scoppiato c’è anche chi recrimina l’operato delle istituzioni finanziarie governative. “Se il Tesoro o il Congresso avessero agito due anni fa, o anche 3 mesi fa, l’attuale fase di panico su Fannie Mae e Freddie Mac sarebbe stata scongiurata. Ma ora è importante che si trovi una soluzione per minimizzare i rischi sul sistema finanziario e sui contribuenti. In quest’ottica la soluzione migliore è quella di un commissariamento federale”, ha ribadito il Wall Street Journal, secondo cui si è arrivati al punto che “la questione chiave non è più se il governo debba salvare le due agenzie”, ma come.
“Quando diede vita alle due compagnie, il Congresso prese la decisione che sarebbero state implicitamente garantite dal contribuente - evidenzia il Wsj - e tutti sapevano che le due compagnie titolari o garanti della metà dei mutui statunitensi sono troppo grandi per fallire”. Tuttavia, il piano presentato dal segretario al Tesoro, Henry Paulson, “non è sufficientemente aggressivo in relazione al rischio che si presenta”.
Stando al quotidiano finanziario Usa, una volta commissariate le due GSE, Paulson potrebbe nominare “un curatore fallimentare di credibilità bipartisan con la missione di proteggere gli interessi dei contribuenti”. Un vero e proprio ‘zar’ con “il potere di rimuovere l’attuale dirigenza delle agenzie e di dare la priorità ai contribuenti rispetto agli azionisti nel caso in cui venisse varato un aumento di capitale”.
Stando al Wsj, il commissariamento non eviterà comunque l’intervento dei contribuenti, i quali “sanno bene di dover far fronte alle perdite in ogni caso”. Tuttavia il provvedimento “proteggerebbe i contribuenti stessi da una classe politica che si è rivelata incapace o non incline a controllare i rischi”. L’opzione del commissariamento, conclude il Wsj, aiuterebbe Paulson a tutelarsi in vista dei prossimi problemi che sono all’orizzonte. “Il fallimento di Indymac è solo il primo di una serie. Presto potrebbero seguire le compagnie automobilistiche e aeree. Mettere Fannie e Freddie in mani sicure rassicurerà gli investitori sul fatto che almeno un grosso rischio è stato scongiurato”.
Se il destino di Indymac è ormai segnato dal commissariamento da parte del Tesoro americano, centocinquanta istituti di credito statunitensi su 7.500 complessivi, senza contare numerose aziende, sarebbero a rischio fallimento nell’arco dei prossimi 18 mesi a causa del crescente numero di default nei mutui. Lo stima Richard X. Bove, analista di Ladenburg Thalmann, secondo cui la domanda chiave è capire quali banche potrebbero fallire a seguito della ‘debacle’ da 32 miliardi di dollari di Indymac, oggi nelle mani del Federal deposit insurance corporation (Fdic). Dall’inizio dell’anno sono sei gli istituti di credito Usa a essere entrati in ‘default’ compresa Indymac.
I timori dell’autority sono in particolare concentrati sugli istituti di piccola e media dimensione che potrebbero presto ritrovarsi in difficoltà a causa del calo dei prezzi delle case e del default dei pagamenti dei mutui. La Fdic attualmente ha a disposizione 53 miliardi di dollari per rimborsare i correntisti di istituti di credito dichiarati in fallimento. Di questi, tra i 4 e gli 8 miliardi serviranno per rimborsare i correntisti assicurati di Indymac. Tra i prossimi a ‘saltare’, stando a Bove, potrebbero esserci Downey Financial, Corus Bankshares, Doral Financial, First Fed Financial, Oriental Financial, BankUnited Financial, Washington Mutual.
A proposito delle conseguenze di questa situazione in relazione all’andamento dell’economia reale, Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve, è pessimista. I rischi al rialzo per l’inflazione si sono intensificati e per le prospettive di crescita ci sono rischi al ribasso. I mercati finanziari sono sottoposti ad uno stress considerevole, dice il governatore della Fed precisando che il ripristino della stabilità del mercato è la priorità in quanto la debolezza del mercato immobiliare, la stretta del credito e il rincaro del petrolio sono una seria minaccia per l’economia.
C’è dunque molta apprensione per la finanza e l’economia statunitense. Quello che fino a pochi giorni fa si pensava scongiurato sta violentemente riaffiorando, dando la sensazione che questa volta la crisi sarà più violenta di quanto i miglior pessimisti abbiano predetto. Gli Stati Uniti, un Paese già alle prese con un debito pubblico fuori controllo di 8500 miliardi di dollari, una bilancia commerciale permanentemente in rosso, due guerre senza fine da sostenere ed oggi una crisi economico-finanziaria molto grave che sta provocando il crollo del settore immobiliare oltre che un costo del petrolio ed un’inflazione in aumento, barcollano in modo sempre più evidente. Per via di questa salute precaria, nessuna ipotesi può essere esclusa per il motore dell’economia mondiale, come neanche per il resto dell’economia planetaria.
Nella peggiore delle ipotesi, la crisi finanziaria che stiamo vivendo oggi, viste le sue potenzialità, potrebbe essere ricordata come il crollo di un sistema: quello delle speculazioni finanziarie, del ultraliberismo economico ad oltranza, della deregolamentazione degli interessi forti, del controllo inesistente dello Stato sull’economia, della svendita dell’economia strategica e della moneta, del profitto incondizionato, della privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite. Lo Stato e le sue istituzioni devono oggi tornare a tutelare gli interessi dei cittadini: le riforme economiche devono tornare ad essere nell’interesse della collettività e non più di un cerchio ristretto di personaggi ricchi e influenti, intenti a plasmare il sistema economico a proprio piacere per comprare, vendere e speculare a danno dei consumatori e a unico beneficio delle proprie tasche.
Questa gente può e deve crollare insieme a tutto questo sistema economico malsano, dove la crisi è palesemente un sintomo di una società arrivata ad un punto critico insostenibile oltre che un’occasione impedibile di rinascita.

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