L’esperienza delle fabbriche recuperate in Argentina continua. Iniziò nel 2001, durante la crisi che sconvolse il Paese, la cui economia fu ridotta ai minimi termini dal cappio del Fmi e dall’irresponsabilità e dall’egoismo di imprenditori senza scrupoli. È così che un concetto non certo nuovo si è rivelato, in quel momento e in quel contesto, rivoluzionario: la creazione di cooperative, l’occupazione di fabbriche dismesse e la loro socializzazione ha permesso a migliaia di lavoratori argentini di mantenere il loro impiego. Aziende lasciate improduttive dai proprietari, che preferirono fuggire “col malloppo”, magari dopo aver svenduto i macchinari, vennero occupate, e dopo mesi, anche anni, di lotte legali, vennero affidati alle cooperative di lavoratori che le avevano recuperate. Dal 2001 la situazione argentina è sicuramente migliorata, ma non abbastanza da garantire un lavoro sicuro a tutti. Ci sono ancora fabbriche che chiudono e padroni senza scrupoli che considerano i lavoratori l’ultimo anello della catena produttiva. È successo anche alla fabbrica di dolciumi Arrufar. È stato il giornale argentino on-line Critcadigital a raccontare la storia di questa azienda occupata. Nel febbraio dello scorso anno iniziò a mancare lo stipendio per i 67 dipendenti dello stabilimento. In maggio venne denunciato un presunto debito dell’impresa con il ministero del Lavoro, un ammanco che andava ad aggiungersi ai salari dovuti e al ritardo di 10 anni nei pagamenti dei contributi pensionistici. La produzione ha continuato a ridursi fino a che, nel gennaio di quest’anno, la padrona e nipote del fondatore della fabbrica, Diana Arrufat, ha lasciato un cartello sulla porta dello stabilimento avvisando i lavoratori di considerarsi licenziati. “Per ragioni strettamente finanziarie non è stato possibile portare a termine il pagamento dei servizi, ragione per la quale la fabbrica non risulta operativa” recitava il messaggio. Quel giorno gli operai hanno deciso di aprire comunque la porta dell’impresa e di entrare in stato di assemblea permanente (foto in alto a destra). Lo stesso giorno, la Arrufat ha sporto denuncia per usurpazione e fino ad oggi si è negata a qualunque dialogo. “La situazione era insostenibile, alcuni compagni hanno 43 anni di anzianità e vivono grazie all’aiuto dei loro figli. Già lo scorso anni iniziarono ad avere problemi di pressione alta, diabete e di depressione”, ha riferito Adrián Cerrano, uno degli oprerai, a Criticadigital. Per raccogliere denaro necessario a rimettere in moto la fabbrica, gli impiegati hanno organizzato una festa all’ingresso dello stabilimento, ottenendo appoggio da parte di vicini, organizzazioni sociali e altre imprese recuperate come l’Hotel Bauen, o come la Febatex e l’Indugraf, due nuove fabbriche autogestite. Per poter comprare la materia prima hanno chiesto un prestito e a fine febbraio gli operai hanno iniziato a produrre “senza padrone”. Durante la settimana santa, i trenta lavoratori – quelli rimasti dopo la fuga in cerca di un nuovo lavoro – hanno producendo uova di Pasqua con il nome di Cooperativa de Trabajadores Aruffat, Vivise Ltda. Lo hanno dovuto fare in maniera “ artigianale” (foto in basso), perché manca la corrente elettrica che impedisce di utilizzare i grossi macchinari della fabbrica: il cioccolato fatto a “bagno maria” e poi raffreddato in un freezer familiare grazie alla corrente elettrica fornita da una vicina. La fabbrica possiede un refrigeratore di 25 metri di larghezza, ma è inutilizzabile. “Se affittassimo un generatore elettrico potremmo usarlo solo tre giorni perché costa mille pesos al giorno, più il combustibile”. Per questa ragione, la confezione delle uova è stata fatta alla luce del giorno. Per queste festività gli operai hanno prodotto mille chili di cioccolata, che quivalgono a 10mila uova. In periodi antecedenti alla Pasqua e al Natale, prima della crisi si arrivava a produrre 120mila chili di uova. Tuttavia i lavoratori sono soddisfatti perché riusciranno a recuperare del denaro, “Stiamo portando nelle casse più di quel che la impresa ci dava negli ultimi mesi”, hanno dichiarato. Secondo la legale dei lavoratori, Ornella Nofiti, è stato già presentato al Tribunale locale un progetto di esproprio che si spera verrà valutato a breve. L’amministrazione dei beni dell’azienda, tuttavia, è ancora in mano a Diana Arrufat. Per ora le azioni dei creditori che hanno avviato distinte richieste di fallimento sono state quasi tutte respinte, dato che le quote erano molto basse e vengono pagate poco a poco. Per ora vi è un solo debito pendente, quello per una causa vinta da un ex lavoratore. L’avvocato Nofiti ha affermato che si sta avviando la causa di lavoro contro la ormai ex padrona; una volta avuta sentenza favorevole, allora gli operai potranno chiedere il fallimento, visto che la signora Arrufat gli deve 10 mesi di salario, le ferie del 2007-2008 e 10 anni di contributi.
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