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Argentina: la lezione del lavoro “recuperato”

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Sabato 11 Aprile 2009 – 12:35 – Alessia Lai stampa
Argentina: la lezione del lavoro “recuperato”



L’esperienza delle fabbriche recuperate in Argentina continua. Iniziò nel 2001, durante la crisi che sconvolse il Paese, la cui economia fu ridotta ai minimi termini dal cappio del Fmi e dall’irresponsabilità e dall’egoismo di imprenditori senza scrupoli. È così che un concetto non certo nuovo si è rivelato, in quel momento e in quel contesto, rivoluzionario: la creazione di cooperative, l’occupazione di fabbriche dismesse e la loro socializzazione ha permesso a migliaia di lavoratori argentini di mantenere il loro impiego. Aziende lasciate improduttive dai proprietari, che preferirono fuggire “col malloppo”, magari dopo aver svenduto i macchinari, vennero occupate, e dopo mesi, anche anni, di lotte legali, vennero affidati alle cooperative di lavoratori che le avevano recuperate. Dal 2001 la situazione argentina è sicuramente migliorata, ma non abbastanza da garantire un lavoro sicuro a tutti. Ci sono ancora fabbriche che chiudono e padroni senza scrupoli che considerano i lavoratori l’ultimo anello della catena produttiva. È successo anche alla fabbrica di dolciumi Arrufar. È stato il giornale argentino on-line Critcadigital a raccontare la storia di questa azienda occupata.
Nel febbraio dello scorso anno iniziò a mancare lo stipendio per i 67 dipendenti dello stabilimento. In maggio venne denunciato un presunto debito dell’impresa con il ministero del Lavoro, un ammanco che andava ad aggiungersi ai salari dovuti e al ritardo di 10 anni nei pagamenti dei contributi pensionistici. La produzione ha continuato a ridursi fino a che, nel gennaio di quest’anno, la padrona e nipote del fondatore della fabbrica, Diana Arrufat, ha lasciato un cartello sulla porta dello stabilimento avvisando i lavoratori di considerarsi licenziati. “Per ragioni strettamente finanziarie non è stato possibile portare a termine il pagamento dei servizi, ragione per la quale la fabbrica non risulta operativa” recitava il messaggio.
Quel giorno gli operai hanno deciso di aprire comunque la porta dell’impresa e di entrare in stato di assemblea permanente (foto in alto a destra). Lo stesso giorno, la Arrufat ha sporto denuncia per usurpazione e fino ad oggi si è negata a qualunque dialogo.
“La situazione era insostenibile, alcuni compagni hanno 43 anni di anzianità e vivono grazie all’aiuto dei loro figli. Già lo scorso anni iniziarono ad avere problemi di pressione alta, diabete e di depressione”, ha riferito Adrián Cerrano, uno degli oprerai, a Criticadigital.
Per raccogliere denaro necessario a rimettere in moto la fabbrica, gli impiegati hanno organizzato una festa all’ingresso dello stabilimento, ottenendo appoggio da parte di vicini, organizzazioni sociali e altre imprese recuperate come l’Hotel Bauen, o come la Febatex e l’Indugraf, due nuove fabbriche autogestite.
Per poter comprare la materia prima hanno chiesto un prestito e a fine febbraio gli operai hanno iniziato a produrre “senza padrone”.
Durante la settimana santa, i trenta lavoratori – quelli rimasti dopo la fuga in cerca di un nuovo lavoro – hanno producendo uova di Pasqua con il nome di Cooperativa de Trabajadores Aruffat, Vivise Ltda.
Lo hanno dovuto fare in maniera “ artigianale” (foto in basso), perché manca la corrente elettrica che impedisce di utilizzare i grossi macchinari della fabbrica: il cioccolato fatto a “bagno maria” e poi raffreddato in un freezer familiare grazie alla corrente elettrica fornita da una vicina. La fabbrica possiede un refrigeratore di 25 metri di larghezza, ma è inutilizzabile. “Se affittassimo un generatore elettrico potremmo usarlo solo tre giorni perché costa mille pesos al giorno, più il combustibile”. Per questa ragione, la confezione delle uova è stata fatta alla luce del giorno.
Per queste festività gli operai hanno prodotto mille chili di cioccolata, che quivalgono a 10mila uova. In periodi antecedenti alla Pasqua e al Natale, prima della crisi si arrivava a produrre 120mila chili di uova.
Tuttavia i lavoratori sono soddisfatti perché riusciranno a recuperare del denaro, “Stiamo portando nelle casse più di quel che la impresa ci dava negli ultimi mesi”, hanno dichiarato. Secondo la legale dei lavoratori, Ornella Nofiti, è stato già presentato al Tribunale locale un progetto di esproprio che si spera verrà valutato a breve. L’amministrazione dei beni dell’azienda, tuttavia, è ancora in mano a Diana Arrufat. Per ora le azioni dei creditori che hanno avviato distinte richieste di fallimento sono state quasi tutte respinte, dato che le quote erano molto basse e vengono pagate poco a poco. Per ora vi è un solo debito pendente, quello per una causa vinta da un ex lavoratore.
L’avvocato Nofiti ha affermato che si sta avviando la causa di lavoro contro la ormai ex padrona; una volta avuta sentenza favorevole, allora gli operai potranno chiedere il fallimento, visto che la signora Arrufat gli deve 10 mesi di salario, le ferie del 2007-2008 e 10 anni di contributi.

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