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Usa e Cina escono rafforzati dal G20

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Sabato 4 Aprile 2009 – 13:49 – Filippo Ghira stampa
Usa e Cina escono rafforzati dal G20


Il vertice del G20 a Londra si è concluso come si doveva concludere. Con la conferma che i fondamenti del sistema finanziario internazionale non vanno discussi e che i rapporti di forza esistenti non vanno toccati. E quindi che il gioco continuerà ad essere condotto dagli Stati Uniti, il Paese primo responsabile dello sfascio economico e sociale in corso, e dai loro degni compari della Gran Bretagna. Adesso molti improvvisati “giustizialisti della finanza” plaudono alla stretta che è stata decisa sui paradisi fiscali e alla decisione di affidare maggiori poteri di vigilanza ad un organismo come il Financial Stability Fund, presieduto da Mario Draghi. Una struttura che in verità aveva brillato per la sua disattenzione nel segnalare i pericoli della crisi finanziaria che stava per scoppiare per poi riversarsi sull’economia reale e scatenare una disoccupazione di massa. Gli osservatori più attenti hanno però dovuto convenire sul fatto che il G20 ha finito per sposare le posizioni di Paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina, più preoccupati di privilegiare un tema come l’utilizzo delle risorse finanziarie messe a disposizione dai singoli Stati piuttosto che l’adozione e il rispetto di regole comuni nell’attività finanziaria.
Un fatto questo che si lega strettamente al problema dei paradisi fiscali. In tale ambito chi apparentemente ha vinto è stata la Cina che, essendo il primo mercato di sbocco per le merci di tutto il mondo, è riuscita ad evitare che due paradisi fiscali di fatto, presenti sul suo territorio, come Hong Kong e Macao, finissero in una delle tre liste nere varate dall’Ocse, stabilite in base al grado di disponibilità a collaborare con i governi per combattere la criminalità finanziaria e l’evasione fiscale. La lista dei discoli (come Austria, Belgio, Svizzera e Lussemburgo), quella dei cattivi (come Bahamas, Bermude e Cayman) e quella dei cattivissimi (come Uruguay e Costa Rica). Sui paradisi fiscali, come la Svizzera, si era innescata negli ultimi tempi una feroce polemica con i governi francese e tedesco che accusavano Berna di favorire l’evasione fiscale dando ospitalità ed anonimato ai loro concittadini. Una polemica alla quale Stati Uniti e Gran Bretagna avevano tentato di accodarsi, in verità senza grande successo, dimostrando in tale circostanza una grandissima faccia di bronzo.
I Paesi europei sanno infatti benissimo che le operazioni finanziarie che interessano ad esempio il traffico internazionale di stupefacenti gestito da Cosa Nostra americana, dalla Ndrangheta, dai narcos colombiani e messicani, passano per lo più per uno dei tanti paradisi fiscali dei Caraibi, i quali, geograficamente vicini agli Stati Uniti, si trovano politicamente, guarda un po’, sotto la sovranità britannica, come le Cayman, o ci si trovavano mantenendo però un rapporto preferenziale con la madrepatria, come Antigua, e che infatti sono rimasti membri del Commonwealth. E’ appena il caso di ricordare che è stato proprio il mercato finanziario di Londra a svolgere un ruolo decisivo nello scatenare la crisi finanziaria dello scorso anno. Un ruolo fisiologico visto che da anni la Gran Bretagna ha di fatto abbandonato ogni interesse ad occuparsi di industria per concentrarsi sulla finanza. Londra alla fine è stata uno tre dei vincitori del vertice visto che nessuno dei due paradisi fiscali di cui la Gran Bretagna usufruisce a pochi chilometri da casa, quindi nell’Unione europea, ossia le isole di Guernsey e di Jersey, è stato messo in una delle liste nere, e non è stato nemmeno citato in uno dei documenti ufficiali.
Ma i veri vincitori del vertice sono stati gli Stati Uniti che se da un lato sono riusciti a far dimenticare agli altri partecipanti le proprie responsabilità in questa crisi, dall’altro sono riusciti ad accrescere il ruolo del Fondo Monetario Internazionale, il principale responsabile delle devastazioni subite nel proprio tessuto da quei Paesi che sono stati “beneficiari” dei suoi prestiti. Finanziamenti condizionati dall’adozione di politiche all’insegna delle liberalizzazioni più spinte e delle privatizzazioni dei servizi pubblici e delle ricchezze energetiche nazionali, presto razziate dai signorotti locali o dalle multinazionali.
I Paesi partecipanti non hanno avuto quindi alcun problema a portare da 250 a 750 miliardi di dollari annui la dotazione del FMI e di farlo di tasca propria. E’ appena il caso di ricordare che i primi finanziatori del FMI sono gli Stati Uniti (con il 17,09%). Questi, alleati alla Gran Bretagna (4,99%), riescono a deciderne le linee guida piegandole ai propri interessi e lasciando ai Paesi europei il contentino di avere oggi da direttore generale, un esecutore di fatto della volontà altrui, un tecnocrate francese come Dominique Strauss Kahn.

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