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I corsari offuscano la guerra civile

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Giovedì 2 Ottobre 2008 – 16:00 – Francesca Dessì stampa

Mentre proseguono i negoziati per il sequestro del mercantile ucraino, la Faina, carico di carri armati e di altro materiale bellico, caduto giovedì scorso in mano ai pirati somali, la tragedia della guerra civile che da 18 anni devasta la Somalia, è passata in secondo piano sotto un silenzio imbarazzante.
L’attenzione internazionale si è focalizzata totalmente su un unico problema: la pirateria. Solo dopo le pressioni della Francia, l’Onu lo scorso giugno aveva varato una soluzione che autorizzava i Paesi alleati con la Somalia ad intervenire militarmente nelle acque del golfo Aden.
Guerra civile e pirateria sembrerebbero due storie in una, intrecciate alla radice, che si verificano entrambe in Somalia e soprattutto sulla scena mondiale. Ma la richiesta di riscatto di 20 milioni di dollari per nave ed equipaggio, composto da 20 uomini, e la minaccia che le armi finiscano in mano ai miliziani somali, sembra essere più importante della vita di persone senza volto le cui esistenze sono intrappolate tra i carri armati degli etiopi e i mortai dei miliziani delle Corti Islamiche. Così dopo l’abbandono della comunità internazionale, avvenuta 18 anni fa, la Somalia si trova nuovamente vittima di una politica sporca. Non solo. Il Paese, privo di un governo funzionante, è alla mercé della guerriglia delle Corti islamiche, che, senza grandi ostacoli ha ripreso il controllo delle principali città e di ampi territori del paese africano. In particolare, dominano il Sud, con Chisimaio, fino ai confini col Kenya, ma anche di zone vicine a Baidoa, la sede del governo transitorio. Non solo. La milizia islamica si è impadronita dei punti strategici: il controllo del porto di Chisimaio e dell’aeroporto di Mogadiscio.
L’emblema del trionfo delle Corti Islamiche è stato l’abbattimento, al grido di “Allah è grande”, di una Chiesa cattolica, che due giorni fa a Chisimaio, ha chiuso il festeggiamento della fine del Ramandam. Al suo posto, costruiranno una grande moschea.
Dal dicembre 2006, quando l’esercito etiope ha occupato il paese, almeno 9.500 civili sono stati uccisi nel conflitto, 860.000 civili sfollati a causa della guerra, mentre quasi 3 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare. Numeri allarmanti, ma che ovviamente non smuovono le Nazioni Unite, da sempre sostenitrici, solo a parole, della “democrazia”, a varare risoluzioni atte a porre fine ad uno dei più sanguinosi conflitti africani. Al contrario, quando bande di giovani affamati fanno irruzione su navi straniere chiedendo un riscatto, la reazione della comunità internazionale è rapida ed efficace. Forse perché ad essere in gioco sono milioni di dollari. Russia e Washington, addirittura, decidono di collaborare, senza soffermarsi sul motivo dell’esistenza di una pirateria, un sottoprodotto dell’illegalità dominante nel Paese. In questi anni i corsari hanno prosperato approfittando del disinteresse della comunità internazionale e della debolezza delle istituzioni somale. Ma questo ha poca importanza. Il problema a questo punto è di conoscere la destinazione delle armi presenti nella Faina, il mercantile ucraino sequestrato. C’è chi sostiene – come gli Usa - che il carico fosse destinato al Sudan; chi invece afferma che sarebbe dovuto finire nell’arsenale del Kenya. Per non far scontento nessuno, le Nazioni Uniti hanno imposto l’embargo sul materiale bellico. Così nessuno Stato africano potrà comprare le armi, senza inimicarsi tutti i Paesi fornitori di armamenti bellici e senza passare inosservato dall’intelligence statunitense. E ora bisogna aspettare la prossima mossa dei corsari, che non sembrano preoccupati del dispiegamento delle forze militari e hanno ammonito di essere pronti fino alla morte a respingere qualsiasi attacco.

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