Gli azionisti confindustriali della nuova Alitalia sono soddisfatti dei primi cinque mesi di attività. Roberto Colaninno, presidente della società nata dalla cordata Cai sponsorizzata da Silvio Berlusconi, è stato ascoltato ieri in merito dalla commissione industria del Senato e ha parlato del duro lavoro svolto per portare l’Alitalia ad essere ancora una grande compagnia aerea, “partendo da una soluzione di quasi fallimento”. Colaninno ha affermato che all’inizio era difficile pensare che in quattro mesi si riuscisse ad arrivare alla situazione attuale. Considerazione quanto mai curiosa perché la nuova Alitalia è nata immettendovi i soli pezzi buoni di Alitalia (e di AirOne) più i soldi dei gentili soci e lasciando tutti i debiti in una “bad society”, una società cattiva cioè allo sfascio, che ovviamente è stata girata in carico allo Stato. Una bella operazione realizzata all’insegna dell’ingegneria finanziaria e in nome del classico principio (caro alla Fiat e alla Mediobanca di Enrico Cuccia) secondo il quale le perdite si socializzano e i profitti si privatizzano. E infatti la nuova Alitalia si è assicurata ricavi e profitti sicuri per sé e per i gentili azionisti per esempio grazie all’attribuzione dei voli sulla tratta Roma-Milano in una situazione di monopolio di fatto. I previsti dividendi si dovrebbero così avere nel 2011. Colaninno ha quindi ricordato ai presenti che la nuova Alitalia ha assunto quasi 14 mila persone prese sia dalla vecchia Alitalia che da AirOne. La compagnia, ha detto, ha effettuato assunzioni per quasi 14 mila persone. E soprattutto è stato realizzato un accordo con un grande operatore dell’aviazione civile come Air France-Klm che deve essere considerata una operazione di carattere industriale e non finanziaria. Il che significa che non è stato previsto che la compagnia franco-olandese tra qualche anno possa diventare padrona dell’intera baracca. Peraltro Air France-Klm non ha posto alcun vincolo ad Alitalia sulla scelta del proprio hub, ossia dello scalo che dovrà funzionare da centro operativo principale per far transitare e smistare i voli. Alitalia, secondo gli accordi, potrà scegliere liberamente Malpensa o Fiumicino. Insomma, ha assicurato Colaninno, Alitalia avrà piena autonomia gestionale. Anche se è evidente che la centralizzazione della maggior parte dei voli intercontinentali di Alitalia a Fiumicino metterà fuori gioco Malpensa e finirà per fare gli interessi del Charles De Gaulle di Parigi. A sua volta l’amministratore delegato, Rocco Sabelli, ha cercato di convincere i senatori che il piano industriale della nuova Alitalia non è stato deciso nell’ottica di un ridimensionamento ma è stato inevitabilmente legato al quello che è realistico e possibile fare. Puntiamo, ha insistito, a trasportare più passeggeri e ottenere più ricavi. I giudizi vanno misurato in termini di obiettivi. Sabelli ha invece cantato il de profundis sul destino dello scalo milanese di Linate ormai concorrenziale con quello varesino di Malpensa. L’attuale coesistenza tra i due aeroporti costa 140-150 milioni di euro l’anno. Tenendo conto dei flussi di traffico, ha spiegato, avere un aeroporto più a Nord fa risparmiare. Ma non è possibile avere un hub a Malpensa e un aeroporto internazionale a Linate. Linate porta via passeggeri a Malpensa e alimentare due aeroporti costa troppo. Di fronte a tale evidenza, “ogni altra discussione diventa surreale”. Certo, ha ammesso, ci sono altri problemi non secondari come i collegamenti d’accesso autostradali e ferroviari a Malpensa, ancora insufficienti, e la necessità di aumentare il numero dei voli rispetto ad oggi. Altrimenti, non ci sarà Hub a Malpensa, ma solamente a Roma.
|