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I due duelli

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Mercoledì 28 Gennaio 2009 – 11:47 – Paolo Emiliani stampa

La politica italiana ha due dimensioni.
La prima è quella più visibile, fatta di infinite polemiche tra le due principali coalizioni, spesso anche inutili visto che la loro collocazione è pressoché identica. In pratica assomiglia da almeno tre lustri ad una soap opera nella quale tutto si divide in “quelli che stanno con Berlusconi” e “quelli che odiano Berlusconi”.
La seconda dimensione è invece più intrigante, anche se spesso invisibile, perché nessuno nel Palazzo ha interesse che se ne parli troppo. Questa è la dimensione degli scontri interni alle coalizioni, delle faide, delle manovre occulte per la conquista del potere, quella dei fratelli coltelli.
Cominciamo a sinistra. Da quelle parti la faida storica è quella che si consuma tra Veltroni e D’Alema. Nata all’ombra della Quercia si è trasferita nel Pd, ma si combatte anche fuori di esso e non è estranea nemmeno all’ultima scissione consumata all’interno di Rifondazione. Del resto anche la scissione tra Prc e Pdci servì all’epoca per sostenere il governo D’Alema quando “Baffino” riuscì a caccaiare da Palazzo Chigi Prodi, che aveva come vice proprio Veltroni.
Vendola avrebbe infatti costituito la sua Rifondazione per la Sinistra (insieme a Franco Giordano e Gennaro Migliore) per cercare di ricostituire il centrosinistra, un nuovo Ulivo a guida D’Alema. II governatore della Puglia sogna infatti un soggetto politico che vada dal Partito Democratico all'Italia dei Valori, passando per alcune forze della sinistra cosiddetta radicale, ma non tutte. Nel nuovo Ulivo entrerebbero i Verdi, Sinistra Democratica e proprio la nuova Rps, ma resterebbero fuori la vecchia Rifondazione e i Comunisti Italiani, mentre dell’attuale opposizione rimarrebbe esclusa, a destra, l’Udc. Un progetto che ha bisogno però di D’Alema leader oppure di un suo “delegato” allo scopo, per esempio Bersani, oppure di un Letta che garantirebbe anche l’appoggio degli ex margheritini. In ogni caso ha bisogno che Veltroni non sia più al suo posto. Anche nel centrodestra si combatte una guerra di successione, ancora più sotterranea e silenziosa: quella tra Fini e Tremonti. Con il leader di Alleanza Nazionale, che pare parcheggiato strategicamente sulla poltrona della terza carica istituzionale, sono schierati quasi tutti gli uomini del suo partito: il reggente e ministro della Difesa Ignazio La Russa, Giorgia Meloni, Altero Matteoli, Italo Bocchino, Adolfo Urso e Giulia Bongiorno. Particolare la posizione di Alemanno che sembra ultimamente essersi avvicinato a Tremonti. Fini può contare poi sull’appoggio dei cespugli del Pdl: da Rotondi a Giovanardi, da Della Vedova alla Mussolini. Più variegata la posizione dentro Forza Italia. Con Fini stanno certamente il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, i ministri Stefania Prestigiacomo e Sandro Bondi. Oltre al potentissimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Tremonti, a livello di ministri, può invece contare su Maurizio Sacconi, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. C’è però la Lega che sta tutta (o quasi) con Tremonti. E’ fuori dal Pdl, ma il pensiero di Bossi pesa sempre tanto. E gli italiani, cosa vogliono gli italiani? La risposta è in una domanda: ma cosa c’entrano gli italiani con la politica dei partiti di Palazzo? Niente, appunto.

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