Tel Aviv continua a ciurlare nel manico sul processo di pace. Secondo il Jerusalem Post, il ministro israeliano per le Agenzie di intelligence, Dan Meridor, è partito lunedì sera alla volta di Londra con l’obiettivo di trovare un accordo con i rappresentanti Usa sugli insediamenti in Cisgiordania. Nello stesso tempo, fonti israeliane hanno sottolineato che l’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu (foto), pur avendo ribadito il suo appoggio alla Road map formulata da Usa, Russia, Onu e Ue, si è detto disposto a smantellare nelle prossime settimane 22 colonie illegali, a condizione che gli Usa consentano alle colonie esistenti di portare avanti i lavori di ampliamento. Meridor e i suoi consiglieri, insomma, chiederanno informalmente ai rappresentanti statunitensi il via libera alla “crescita naturale” degli insediamenti più grandi, argomento sollevato lunedì da premier Netanyahu, preparandosi a formalizzare poi la richiesta a Washington la prossima settimana per bocca del ministro della Difesa, Ehud Barak. La presa di posizione di Tel Aviv contrasta però sia con le posizioni di Hamas, sia con quelle più morbide dell’Anp e del presidente palestinese Mahmoud Abbas nonché, incoerentemente, con lo stesso piano di pace del Quartetto. La Road map prevede infatti la nascita di uno Stato palestinese indipendente al fianco di Tel Aviv ma prevede anche che gli israeliani rimuovano tutte le colonie illegali, fermando le costruzioni nei siti già esistenti. Di fronte ad un governo che, da una parte, sostiene il piano ideato nel 2002/2003 e, dall’altra, ne rinnega una condizione all’epoca accettata e ritenuta fondamentale dalla controparte, inevitabile è stata la reazione del capo negoziatore dell’Autorità Palestinese: in una intervista al quotidiano Ha’aretz, Abu Ala ha ribadito che “non ci saranno negoziati” di pace con gli israeliani “se non cesseranno tutte le costruzioni”, anche quelle legate “a quella che viene chiamata crescita naturale”. Gli abitanti dei principali insediamenti ebraici in Cisgiordania, come Ariel e Maale’ Adumim, ha garantito Abu Ala, potranno continuare a stare nelle loro case ma “sotto la sovranità e le leggi palestinesi”. Il fermo di tali costruzioni come previsto dalla Road map sarà peraltro l’argomento principale dell’incontro che Abbas avrà domani con Barack Obama che, in materia, ha già dimostrato almeno in apparenza non poche divergenze con Netanyahu. “Vogliamo anche vedere misure vere e un piano d’azione, così da mettere al riparo la regione da instabilità e violenza”, ribadirà inoltre Abbas al presidente Usa, chiedendo un fattivo impegno da parte di Tel Aviv per la creazione di uno stato palestinese e la sospensione delle costruzioni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. A gettare fumo negli occhi si è aggiunto il ministro degli Esteri, Avigdor Lierbeman, che pur dichiarando che la Road map “ha una sua validità internazionale” anche per il premier Netanyahu - che a ben vedere non ha ancora formalmente accettato il piano - ha affermato nello stesso tempo che mancano le precondizioni per la coesistenza pacifica dei due Stati. Affermazione volta a riversare ancora una volta sui palestinesi la responsabilità di un mancato accordo che gli stessi israeliani non vogliono. A conferma di ciò, né l’Israel Beitenu né il Likud hanno mai citato nei comizi elettorali di febbraio la questione del processo di pace, temendo di perdere le elezioni; nel confronto con gli Usa, inoltre, Tel Aviv continua a puntare l’indice sul nucleare iraniano proprio per evitare il confronto sul processo di pace.
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