Le forze politiche si preparano all’appuntamento elettorale del 6 e 7 giugno con uno spirito diverso dal solito. Mentre per le amministrative nulla cambia: i partitini continueranno a mangiare assieme ai grandi partiti, per le europee l’introduzione della soglia di sbarramento del 4% costringerà i partitini a rimanere fuori dal parlamento di Strasburgo. Berlusconi, nonostante l’incrinatura della sua popolarità per vicende legate alle veline, continua a mostrarsi fiducioso, sostenendo che il Pdl dovrebbe assestarsi almeno attorno al 45% di consensi. E questo dovrebbe consentire al Pdl di porsi come il primo partito nel gruppo del Ppe. Nel suo intervento all’assemblea di Confesercenti, il presidente del Consiglio ha cercato di dribblare dal solito tema sull’affaire Noemi, mettendo al primo posto la questione europea. “Abbiamo scelto dei candidati -ha detto- che possano dare la garanzia della loro presenza continuativa a Bruxelles e a Strasburgo. Questo si deve fare per poter difendere al meglio gli interessi del nostro Paese in Europa”. Ora non è che con un curriculum vitae fatto di due o tre lauree e della conoscenza di più lingue i candidati possano portare una sferzata decisiva alla costruzione di un’Europa dei popoli e non delle banche e dei grandi interessi politici ed economici. Da questo indirizzo non se ne esce mandando plurilaureati nel parlamento cimitero degli elefanti. Invece, guardando in casa del Pd, la linea di Franceschini si concentra sul tentativo di bloccare l’emorragia di voti a favore di Di Pietro. Rivolgendosi all’alleato, dice che questo non è il momento di “toglierci i voti a vicenda” ma di toglierli alla destra. E lascia aperta la porta anche alle alleanze future, compresa quella con l’Udc di Casini. D’altronde questa alleanza ha dato frutti positivi nel Trentino. Ma una rondine non fa primavera… Invece, in casa della sinistra radicale questa attesa del voto si vive nel dramma di chi sta per uscire anche dall’Europa. I vari cartelli elettorali che compongono lo scacchiere dell’area di sinistra sanno bene che l’impresa di superare l’asticella del 4% è quasi impossibile ma nonostante questo professano ottimismo. Sia il cartello che fa capo a Nichi Vendola che quello che fa capo a Paolo Ferrero si dicono convinti di poter superare lo scoglio. Il segretario rifondarolo denuncia la deriva del nostro Paese verso la repubblica delle banane, a causa della querelle sulla candidatura delle veline. E questo scontro sugli amori di Berlusconi è determinato anche dalla scelta del Pd e dell’IdV di tirare in ballo anche fatti di vita privata del presidente del Consiglio. E questo, secondo Ferrero, conduce a quel degrado della vita politica ridotta a pettegolezzo. “Come Rifondazione e come Lista comunista -ha spiegato il segretario- chiediamo che la discussione politica avvenga sulle proposte e i programmi per le elezioni europee, e non sul gossip e tantomeno sui pettegolezzi. Gli italiani hanno diritto di sapere quali sono i programmi e le proposte in campo, su quelli devono poter scegliere e votare”. Ben detto. Ma come al solito la sinistra radicale predica bene ma razzola male. Citiamo solo due casi: il rifinanziamento delle guerre democratiche e la legge 30 sul lavoro, per cui Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi sono caduti in disgrazia, tant’è che sono finiti fuori dal Parlamento italiano. E presto anche fuori da quello europeo. Questo perché il proprio elettorato si è stancato di essere preso in giro.
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