Ieri mattina, mentre era appena iniziata la seduta straordinaria del Consiglio regionale della Sardegna convocata appositamente, un nutrito gruppo di operai dell’impianto petrochimico di Porto Torres, di proprietà della Polimeri Europa, controllata dell’Eni, hanno occupato l’aeroporto di Alghero (Sassari) per protestare contro la chiusura di due mesi, dall’inizio di agosto, dell’impianto di cracking dello stabilimento decisa dai vertici della società. Una decisione che rappresenta un mettere di fatto le mani avanti per una futura sospensione a tempo indeterminato dell’attività produttiva. L’iniziativa dei lavoratori, che hanno esposto striscioni di protesta, ha provocato non pochi ritardi nei voli in partenza dallo scalo sardo. Poi, dopo l’intervento delle forze dell’ordine, i manifestanti hanno abbandonato l’aeroporto e si sono trasferiti sotto il palazzo della Provincia di Sassari. L’ira dei lavoratori è stata determinata dalla presa d’atto della evidente intenzione dell’Eni di arrivare progressivamente alla chiusura definitiva di un impianto che, a detta di tutti, garantisce comunque utili operativi. Mentre l’Eni ha deciso di spendere 100 milioni di euro per potenziare lo stabilimento francese di Mardyck, vicino a Calais. Due giorni fa era stato lo stesso Silvio Berlusconi, raccogliendo l’appello di Ugo Cappellacci, Presidente della Regione, a chiedere al ministro dello Sviluppo Claudio Scajola di convocare le parti ad un “tavolo della chimica” per affrontare il problema di Porto Torres nell’ambito degli indirizzi strategici del settore. Allo stesso tempo il Cavaliere, pronto a quanto si dice a chiudere e vendere Villa Certosa, ha chiesto all’Eni di non dare esecuzione ai provvedimenti di chiusura del petrolchimco Duro il giudizio di Piero Testoni, deputato sardo del PdL: “L’Eni – ha affermato - non è certo una sorella povera e deve mettersi una mano sulla coscienza, salvaguardando la chimica dalla quale dipende il destino di migliaia di famiglie. Magari investendo meno nei servizi, ad esempio nelle attività editoriali come mi dicono stia facendo”. Testoni giudica “gravissima” la decisione unilaterale dell’Eni di chiudere l’impianto di cracking di uno stabilimento che rappresenta l’industria principale della Sardegna. Per i sindacati di categoria e regionali di Cgil. Cisl e Uil, è da sanzionare anche l’atteggiamento indolente del governo considerato che il 30% dell’Eni è ancora in mano allo Stato (tra Tesoro e Cassa Depositi e Prestiti) e che è lo stesso Palazzo Chigi che nomina i vertici aziendali, ossia il presidente e l’amministratore delegato del gruppo. Per i sindacati è inaccettabile che la multinazionale italiana, in presenza di una tale imponente partecipazione azionaria pubblica, si renda responsabile di “comportamenti di stampo neocoloniale ai danni di una Regione e del Paese”. |