Spesso si dimentica che l’inferno è lastricato da buone intenzioni. Così il tentativo di iniziare almeno in Italia una sorta di pubblico e doveroso lavacro da parte degli economisti(ci) dinanzi all’immane crisi che affligge il mondo, pur non riscuotendo grande successo aveva avuto un suo inizio sulle pagine de “Il Sole 24 Ore”. Ne abbiamo seguito il basso profilo fin che la furbesca ma fondata idea che la gente dimentica facilmente il passato, e che specie nell’ex BelPaese assume connotati preoccupanti; e i già fatui fuochi del dibattito, si sono mestamente spenti. Non senza che emergesse un maldestro tentativo di salvare la “scienza economica” accusando gli economisti di averla mal applicata e con tale posizione suggerire a livello subliminale che i fornitori di tale diagnosi per il fatto stesso di essere in grado di emettere un tale verdetto si tiravano fuori da ogni colpa sui fatti, lasciando immacolato il loro alone di buoni e autentici “scienziati”. La obiettiva pateticità di un tal meschino panorama intellettuale ergo morale raggiunge vette inaudite lì dove dalla genericità si passava a dare indicazioni precise sui filoni di ricerca e relativa letteratura che avrebbero dovuto mostrare lo iato tra la buona salute della disciplina e la cattiva pratica della “professione”, segnalando correnti di pensiero non solo scollegate tra loro ma spesso assolutamente tra loro incompatibili. Per esempio dimenticando che l’intero approccio della “informazione imperfetta”, della “razionalità limitata” et similia con Nobel collegati coesistono bellamente con il Nobel a Lucas jr. massimo teorico delle super “aspettative razionali”, senza per questo aver fornito una più decente proposta di dare una meno incredibile base microeconomica alla macroeconomia. Dunque lasciando irrisolto lo scandalo epistemologico (insieme a tutti gli altri che non è qui il caso di ricordare a chi ha la bontà di seguirci nei nostri scritti) della ormai passata in giudicato situazione che vede l’insanabile incomunicabilità analitica tra la Microeconomia e la Macroeconomia appunto. Incomunicabilità che va ricordato implica l’accettazione del dogma per cui in economia il tutto è minore della somma delle sue parti. Scandalo epistemologico che non uno dei grigi partecipanti all’ancor più grigio dibattito, cui abbiamo più su alluso, mostra di avere scienza e coscienza. Si potrebbe pensare che tutto ciò si basa su un resoconto che ha a che fare con una provincia minore della “scienza triste” i cui massimi templi accademici vanno ricercati altrove e segnatamente nella patria dell’impero capitalistico mondiale, dove non si mancano di scandire “tempi e metodi” per l’esercizio della professione degli economisti(ci) di ogni dove. Ebbene l’unica buona notizia (?) per questi ultimi che cattedraneggiano in Italia è che essi anche se non hanno avuto il loro “periodo americano” possono vantarsi di essere made in Usa ( e getta). Sempre sul puntuale foglio rosa (speriamo che adesso con l’amerikano Riotta riesca a patentarsi per ottenere un logo con la bandiera a stelle e strisce) della Confindustria che ha rapporti privilegiati con gli abitanti la mitica Harvard, il 15 marzo di quest’anno Dani Rodrik della Kennedy School of Government, e quindi collega della grande maggioranza dei “cervelli” di cui si è contornato Obama, dava il suo placet nella rubrica “Global View” al vergognoso, informale e indegnamente esauritosi dibattito degli economisti(ci) italioti sullo stesso giornale. Vale la pena riportare alcuni brani di un tale “autorevole” intervento. Iniziamo con una apparente promettente presa di posizione: “Purtroppo, considerando le esigenze odierne (questo “odierne” è una chicca, come se fino a ieri tutto andava per il meglio, ndr), gli esperti di macroeconomia hanno fatto pochi passi avanti dai tempi in cui John Maynard Keynes spiegava come un’economia potesse rimanere incastrata nella disoccupazione a causa di una carenza di domanda aggregata, Alcuni come Brad Delong e Paul Krugman direbbero anzi che il settore in realtà è regredito”. Ci si aspetterebbe a questo punto un cenno all’irrisolta questione del non luogo a comunicare tra microeconomia e macroeconomia ma non è così. Infatti immediatamente di seguito così prosegue Rodrik: “l’economia è una cassetta degli attrezzi con molteplici modelli e ognuno di essi è una rappresentazione differente e stilizzata di un “aspetto della realtà”. L’abilità di un economista dipende dalla capacità di selezionare il modello giusto. La ricchezza e la varietà della scienza economica non trovano riscontro nel dibattito pubblico perché gli economisti si sono presa troppa libertà. Invece di presentare una lista di opzioni ed elencare i relativi pro e contro […] gli economisti hanno troppo spesso trasmesso le proprie preferenze sociopolitiche. Invece di fare gli analisti hanno fatto gli ideologi”. C’è da rimanere stupefatti di come un “eminente” economista della celebratissima Cambridge americana tratti di argomenti teoricamente impegnativi con incosciente superficialità. Su tutte si impone di cogliere la eclatante contraddizione tra la possibilità che avrebbero gli economisti di scegliere tra diversi modelli di presunta pura scienza (“fare gli analisti”) e di scegliere tra tanta ricchezza quelli ideologicamente contaminati. Insomma professor Rodrik, questa scienza è “positiva” (Wertfrei) o necessariamente (epistemologicamente) implica “giudizi di valore” o normativi? Delle due l’una, professore! Insomma o l’una o l’altra (disgiunzione esclusiva in logica matematica) non entrambe, come si evince che lei ritenga. Inoltre se da Keynes in poi (Keynes rimanendo l’insuperato inventore dell’insanabile scisma tra microeconomia e macroeconomia) non si è fatto alcun significativo passo avanti cosa ne dice del sottostante scandalo scientifico? Per terminare (senza concludere) un suggerimento agli economisti(ci) italiani. Se ne avranno il coraggio essi potrebbero vantare una primogenitura dottrinale nel campo della dismal science da rivendicare insieme ad un (unico) premio Nobel dinanzi al mondo che conta (che in realtà dovrebbe più propriamente contare i danni da esso provocato) in tale campo e quindi degli stessi harvardiani. Che con Rodrik , e senza saperlo, come abbiamo visto, finiscono per sancire la natura pirandelliana della “scienza economica” dove regna lo status del “così è se vi pare”. Ebbene, basterebbe a questo punto ricordare ai templari della “professione” che Pirandello era italiano. E che appunto vinse un Nobel in letteratura e quindi ante litteram in economia, avendo Rodrik finito oggettivamente per riconoscere l’ascendenza letteraria dell’economics. Che il tutto poi discenda a talpunto dal “teatro dell’assurdo” è appena il caso di rimarcarlo guardando allo stato dell’arte della sedicente scienza economica e ai suoi storici e empirici esiti e “derivati”.
|