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Lo strappo sindacale mette in crisi il PD

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Sabato 18 Aprile 2009 – 12:52 – Filippo Ghira stampa
Lo strappo sindacale mette in crisi il PD


La spaccatura del fronte sindacale concretizzatasi sul nuovo modello contrattuale viene vista con preoccupazione nel Partito Democratico che non può non comprendere la valenza politica di una simile svolta. Il PD aveva valutato che la divaricazione tra Cisl e Uil da una parte e la Cgil dall’altra fosse ricomponibile in nome di un’unità dei lavoratori di fronte ad una crisi che sta mettendo in crisi un modello delle relazioni sindacali in azienda e fuori. Un modello che però è vecchio di decenni e che riflette un periodo nel quale il sindacato poteva ottenere che il reddito creato in Italia grazie al boom economico venisse distribuito in parte ai lavoratori. Oggi invece, di fronte ad una crisi che si annuncia ancora lunga e di cui i più ottimisti prevedono la fine solo nel 2010, la priorità per ogni singolo lavoratore è quella di mantenere il proprio posto di lavoro con le unghie e con i denti. Addio quindi solidarietà tra i colleghi, addio quindi considerazioni del tipo “siamo sulla stessa barca”. D’ora in poi ognuno penserà per sé e se l’azienda chiederà di lavorare di più e meglio (“aumentando la produttività”) i dipendenti finiranno per accettare. E’ proprio su tale punto che si è avuto lo scontro tra i tre sindacati storici italiani.
Il nuovo modello contrattuale parte dalla considerazione che si può restare e resistere sul mercato solamente grazie ad un aumento di produttività tale da permettere alle aziende di essere concorrenziali con i prodotti di altri Paesi che, come ad esempio la Cina, sono caratterizzati da un costo del lavoro ridicolo rispetto al nostro in quanto riflette la mancanza di reali garanzie sociali. Cisl e Uil hanno quindi convenuto sulla linea, espressa da governo e Confindustria, di spostare la centralità della contrattazione non più a livello nazionale ma in azienda. Proprio quello che respinge la Cgil preoccupata che questa nuova fase finisca, come senz’altro succederà, per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri e per trasformarli in tanti emuli del famoso minatore Stakanov, l’eroe dell’epoca staliniana, e per spingerli ad una rincorsa senza fine della produttività per ogni ora lavorata.
Ovviamente la Cgil è mossa anche da considerazioni molto meno nobili che hanno a che fare con il timore di perdere potere reale all’interno del mondo del lavoro, non solo a livello nazionale ma anche all’interno delle aziende. Due aree nelle quali il sindacato “rosso” aveva sempre svolto un ruolo egemone. Questo timore della Cgil è legato in particolare alla situazione di un settore di punta come quello dell’industria metalmeccanica, con l’industria dell’auto in testa.Non avere più voce in capitolo in un’azienda come la Fiat e vedersi obbligata a firmare un contratto separato finirebbe per riportare con la memoria il sindacato di Corso d’Italia al periodo degli anni cinquanta, quando a Mirafiori si doveva combattere non solo con Agnelli e Valletta ma anche con i sindacati “gialli” creati e foraggiati dall’azienda. Un sindacato come la Cgil privato in tal modo di potere politico e di rappresentanza finirebbe inevitabilmente per indebolire anche lo schieramento di centrosinistra e quindi il PD, già sprofondato di suo in una devastante crisi di identità, in particolare dopo le dimissioni di un post-comunista come Veltroni e la sua sostituzione con un post-democristiano come Franceschini. Che cosa è la Sinistra? Dove si deve collocare in Italia e in Europa. E soprattutto di quali interessi si deve ergere a difensore? Una domanda non retorica visto che i vari esponenti del PD, Prodi e D’Alema in testa, si sono caratterizzati in passato per una vicinanza imbarazzante e un po’ troppo sospetta al mondo delle banche, sia quello italiano che quello internazionale. Di tale dicotomia anche un sindacato classico della Sinistra, come la Cgil, ha finito per risentirne.
Tanto che il suo irrigidimento sul nuovo modello contrattuale è stato influenzato in maniera determinante dal peso numerico esercitato dai metalmeccanici i cui leader sono espressione della sinistra interna o di quella che ancora si può ritenere tale.
I vari Gianni Rinaldini, Giorgio Cremaschi e Giorgio Airaudo sono perfettamente coscienti del fatto che le aziende vogliono avere le mani libere per ristrutturare i processi produttivi e per licenziare. E soprattutto che, in nome di quella che si vuole millantare come una sorta di cogestione alla tedesca, si sta cercando di coinvolgere i dipendenti in un gioco al massacro che finirà per rivoltarsi contro di loro. Il tutto in nome di un’ideologia all’insegna di un’efficienza che non ammette ostacoli sul proprio cammino.
In questa fase di confusione politica e mentale il Partito Democratico non sa quale strada scegliere. Se confermare la propria posizione “centrista” o se al contrario sposare le scelte di un sindacato come la Cgil al momento appare quanto mai isolato.
Tali dubbi sono stati espressi dal diessino Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi, che ha ammesso tutte le difficoltà del suo partito.
Il PD non sposa la riforma del modello contrattuale, non chiede alla Cgil di firmare, non chiede alla Cisl e alla Uil di ritirare la firma, perché è “troppo rispettoso dell’autonomia del sindacato e dei sindacati”, alle cui scelte bisogna attribuire il significato, sia che si tratti di un sì o di un no, di aver voluto tutelare i lavoratori.
Il PD spera quindi che l’unità sindacale possa ricomporsi quando i contratti nazionali di categoria troveranno una loro applicazione pratica. Come è già accaduto, ha ricordato Damiano, nel settore agro-industriale. Allo stesso modo il PD auspica che l’unità sindacale, considerato “un obiettivo irrinunciabile”, possa realizzarsi sui temi della rappresentatività sindacale e su quello degli ammortizzatori sociali e di una adeguata tutela del reddito dei lavoratori e dei pensionati. Sempre che il PD non sia arrivato fuori tempo massimo.

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