Sono aumentati gli stipendi degli italiani nonostante la crisi; questo almeno quanto sostiene l’Istat. Secondo l’istituto di ricerche e statistiche più famoso del BelPaese infatti le retribuzioni contrattuali orarie nello scorso mese di novembre sono sì rimaste invariate rispetto al mese precedente, ma nel raffronto con l’identico periodo del 2008, ovvero quando la crisi non era ancora esplosa in tutta la sua gravità, è stato registrato un incremento di oltre tre punti percentuali. Buone notizie quindi per gli italiani, poco meno del 90% degli occupati infatti è titolare di un qualche rapporto di lavoro dipendente. Mettendo a confronto il dato del periodo gennaio-novembre con il medesimo dello scorso anno l’aumento è stato sempre del 3,1%, con via Cesare Balbo che spiega anche che negli ultimi due mesi non ci sono state variazioni a causa della limitata incidenza delle applicazioni contrattuali avvenute. Coloro che hanno visto salire maggiormente il proprio reddito sono stati tutti gli addetti del settore acqua e servizi di smaltimento rifiuti e metalmeccanica, oltre a quelli di commercio e alimentari, bevande e tabacco, per questi gli aumenti sono stati di circa il quattro percento. Poco meno per i ministeriali. Variazioni quasi impercettibili hanno interessato i salari dei vigili del fuoco, dei trasporti, dei servizi postali e di quelli degli addetti all’agricoltura. Da segnalare che fino allo scorso mene erano in vigore 58 contratti regolanti il trattamento economica di oltre undici milioni di lavoratori dipendenti, ai quali corrispondeva poco più dell’87% di tutti i lavoratori subordinati. In attesa di rinnovo, alla fine di novembre, appena venti contratti nazionali, che interessavano la restante parte dei lavoratori dipendenti, poco meno di un milione e mezzo del totale. La crisi economica ha inciso notevolmente sulle abitudini degli italiani che, per non perdere quote di stipendio in questo annus horribilis per l’economia italiana e non solo, hanno ridotto drasticamente le astensioni volontarie dal lavoro. Nei primi nove mesi dell’anno infatti le ore non lavorate a causa di conflitti originati dai rapporti di lavoro sono state di 1,3 milioni di ore, numero alto ma inferiore per oltre il 63% rispetto al corrispondente periodo del 2008. Tra le motivazioni che hanno consigliato agli addetti di incrociare le braccia, quelle che presentano le incidenze maggiori sono le altre cause, 30,5%, delle ore totali non lavorate per conflitti, il licenziamento e la sospensione dei dipendenti, 21,6%, e le rivendicazioni economiche, un quinto del totale. Considerando che nell’ultimo anno la disoccupazione è notevolmente aumentata e che gli italiani hanno dovuto rivedere al ribasso i propri stili di vita non ci sentiamo di essere troppo ottimisti di fronte agli ultimi dati diffusi dall’Istat, anche perché se davvero le retribuzioni sono aumentate del 3% va considerato che il costo della vita è cresciuto ancora di più, accompagnato da una inflazione che non si è fermata. Inoltre c’è da considerare che molti contratti sono figli delle turboliberiste riforme note come pacchetto Treu e legge Biagi che per un pugno di euro in più hanno tagliato molto in tema di Stato sociale, vanificando quindi possibili aumenti. Insomma, c’è poco da stare allegri.
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