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L’Europa scopre che esiste una crisi sociale

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Mercoledì 6 Maggio 2009 – 6:07 – Filippo Ghira stampa
L’Europa scopre che esiste una crisi sociale



L’Unione Europea, in verità con un notevole ritardo, si è accorta che la crisi in corso, allo stesso tempo finanziaria ed economica, sta provocando devastanti conseguenze sul tessuto sociale dei Paesi membri. Questa presa d’atto è stata ufficializzata alla riunione dei ministri dell’Economia dei 16 Paesi dell’euro e successivamente al vertice dei ministri dei 27 Paesi membri (Ecofin).
Così il presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean Claude Juncker, e il Commissario Ue agli affari economici, lo spagnolo Joaquin Almunia, si sono trovati concordi nell’affermare che la crisi economica sta diventando “crisi sociale” con gravi ripercussioni sul fronte dell’occupazione e dei disavanzi pubblici, aggiungendo, bontà loro, che a patirne le conseguenze sono e saranno principalmente i ceti più deboli. Una volta tanto i boiardi di Bruxelles hanno smesso i loro panni fatti di tecnocrazia e di efficientismo e sono stati costretti a volare più basso e mettersi al livello delle persone normali, soprattutto quelle ridotte ad un livello di pura sussistenza. Ma se da Bruxelles si pone l’accento su una imminente crisi sociale significa che i dati reali dell’economia europea sono molto peggiori di quelli che si vogliono presentare e che sono destinati anzi a peggiorare nel medio e lungo periodo. Probabilmente a far riflettere i tecnocrati europei sono stati episodi come il sequestro dei manager, gratificati da stipendi milionari in euro, da parte dei dipendenti che erano stati licenziati. Un campanello d’allarme serio che potrebbe essere anche un’anticipazione di quanto potrebbe succedere se la situazione economica dovesse precipitare e se questo provocasse una disoccupazione di massa tipica di un’epoca di depressione. Lo scenario dipinto oltre 150 anni fa da Carlo Marx, una grande massa di poveri e di disoccupati di fronte ad una esigua schiera di ricchi e di privilegiati, potrebbe diventare in breve tempo reale e la rabbia di chi non ha più niente da mangiare e più niente da perdere potrebbe trasformarsi in una valanga impossibile da fermare.
Fatta questa concessione a chi ha meno, Almunia è subito tornato nel suo ruolo e ha ammonito sul fatto che saranno ben tredici i Paesi dell’Unione che questo anno supereranno la soglia del 3% nel rapporto tra disavanzo e Prodotto Interno Lordo.
Da parte sua Juncker ha ricordato che prima della crisi, dopo l’introduzione dell’euro, il tasso di occupazione era sempre aumentato mentre oggi è la disoccupazione ad aumentare e gli orizzonti che si intravedono sono “inquietanti” e questo è un tema sul quale l’Unione si impegnerà.
Più dell’Unione dovranno però impegnarsi gli imprenditori che Juncker ha invitato a non ricorrere a licenziamenti di massa o licenziamenti preventivi, auspicando “la responsabilità sociale all’interno delle imprese”.
Certo, ha convenuto il primo ministro lussemburghese, la politica europea dell’occupazione deve diventare più attiva e puntare a migliorare le prospettive di trovare un lavoro per chi lo ha perso e investire sulla formazione permanente, un aspetto questo che molti politici stanno sottovalutando.
A giudizio di Almunia, stiamo attraversando il punto peggiore della recessione ma allo stesso tempo si vedono segnali positivi dagli Usa, dall’Asia e anche dall’Europa che lasciano ben sperare. I problema, ha insistito, resta quello dei deficit eccessivi. A giugno si discuterà come affrontarli e quella sarà l’occasione per valutare una strategia di medio lungo termine. Ma, ha avvertito, non vi è dubbio che la Commissione Ue continuerà ad applicare il patto di stabilità e la clausola del 3% sul rapporto disavanzo-PIL. Almunia e Juncker hanno sottolineato l’urgenza di eliminare i titoli tossici, un’operazione ritenuta indispensabile per ripristinare la fiducia sui mercati, nell’ambito di una strategia comune.
A sua volta anche la riunione dell’Ecofin (che pure ha stanziato altri 25 miliardi aiuti ai Paesi al di fuori dell’area dell’euro) ha dimostrato che i governi non hanno ancora ben chiari gli effetti devastanti della crisi dal punto di vista sociale e che la loro priorità è la difesa dell’Alta Finanza.
Infatti il documento finale, tanto per cambiare, insiste sulla necessità di riforme strutturali nei settori della previdenza (con l’aumento dell’età pensionabile), della sanità, del mercato del lavoro, in maniera tale da “giungere ad un miglioramento in lungo termine dei conti pubblici dei Paesi europei”. Insomma vanno bene i regali fatti con soldi pubblici alle banche che hanno speculato, ma da parte loro lavoratori e pensionati devono stringere la cinghia.

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