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25 aprile: storia e rancori antichi

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Martedì 28 Aprile 2009 – 9:58 – Filippo Ghira stampa



Quaranta anni fa, ma probabilmente pure prima, in un certo ambiente, che per comodità potremmo definire “anti-sistema”, girava il detto che “L’Antifascismo è come un becchino, vive sui morti”. A sua volta, il gruppo anarchico degli Uccelli, all’inizio della mitica stagione del 1968, stese sulla scalinata del Rettorato della Sapienza di Roma un enorme striscione che giustamente affermava: “L’Antifascismo è una battaglia di retroguardia”.
Tali slogan ci sono tornati in mente in concomitanza con le celebrazioni del 25 Aprile, anniversario della Liberazione. La data cioè in cui le truppe dell’occupante tedesco, già nostro alleato, vennero definitivamente sconfitte, nel senso che si arresero alle truppe alleate, mentre nelle città del Nord Italia arrivavano le formazioni partigiane.
Nei giorni successivi, come sempre succede in queste occasioni, si registrò un’autentica mattanza degli sconfitti, fascisti o presunti tali, sulla cui entità, qualche migliaio o diverse decine di migliaia, gli storici e gli esegeti dell’una e dell’altra parte si sono esercitati. Migliaia di persone comunque vennero prelevate casa per casa e fucilate, o senza processo o dopo un giudizio “popolare” sommario, o semplicemente fatte sparire. Una mattanza nella quale si fusero odi politici antichi e recenti, desideri di vendetta per le stragi della popolazione civile ad opera dei tedeschi, rancori personali, odi di classe o più semplicemente, in alcuni casi, il desiderio di impadronirsi dei beni degli uccisi. Su questa strage indiscriminata gli storici dei vincitori stesero una cortina di fumo e di silenzio per evitare di macchiare l’immagine di una Liberazione che si voleva al di sopra di ogni critica. Un fatto fisiologico se solo si pensa che, nell’assenza di quelli cattolici o liberali, furono gli autori di scuola comunista ad assumere il monopolio della ricostruzione storiografica della Resistenza riversandovi dentro anche gli effetti della nascente contrapposizione politica tra filo-occidentali e filo-sovietici. In questa visione di parte, quanto a faziosità, gli storici comunisti furono battuti però dagli storici vicini all’elitario Partito d’Azione (spazzato via dalle elezioni politiche del 1946 per l’Assemblea Costituente) che nelle loro opere fecero sfoggia di una intransigenza ideologica frutto del sogno, o dell’illusione, di rifondare l’Italia sulla base di una nuova etica di cui essi stessi erano i fondatori e di cui volevano essere i guardiani. La stessa etica e lo stesso senso di superiorità morale, è appena il caso di ricordarlo, delle quali fanno sfoggio oggi i vari girotondini con tutta la schiera di politici e di intellettuali ad essi collaterali.
Della Resistenza, e dei suoi miti, venne fatto in seguito un uso politico strumentale e si volle vedere in essa il crogiuolo da cui derivò l’Italia repubblicana. L’espressione “nata dalla Resistenza” perseguitò per decenni gli italiani, soprattutto da parte di radio e televisione, tanto da trasformarsi in un luogo comune coltivato soprattutto da quanti vissero a fondo l’esperienza del Fascismo salvo poi, intorno al 1943 vista la mala parata, passare armi e bagagli dall’altra parte. Furono in tal modo gli ex fascisti passati all’antifascismo a trasformarsi nei “resistenzialisti” più puri e più duri nell’andare rabbiosamente contro i propri ex camerati e a difendere questa immagine senza macchie e senza infamia della Resistenza. Ma anche, raggiunta la vecchiaia, ed essere vicini alla morte, nel continuare a mostrarsi i più fanatici ed irriducibili nel dare addosso ai fascisti di ieri e di oggi. Niente da stupirsi comunque. Nella storia, vedi Saul di Tarso, sono sempre stati i convertiti a mostrarsi più integralisti dei loro nuovi compagni di fede. Al contrario molti di coloro che sono stati antifascisti della prima ora, e che sono stati imprigionati durante il Ventennio, hanno finito poi per comprendere in parte le scelte di quanti andarono o rimasero dalla cosiddetta “parte sbagliata”.
Oggi, a 64 anni di distanza, parlare ancora di Resistenza, di Fascismo e Antifascismo, appare così un po’ stantio, tranne ovviamente per i sopravvissuti dell’una e dell’altra parte. Quantomeno quelli che passano la propria esistenza a rimirarsi le medaglie ottenute o a rimpiangere quelle che nessuna struttura statale gli concederà mai. E allora comunque siano andati quei fatti lontani, la Resistenza e il Fascismo appartengono ormai alla Storia e come tali vengono visti dalla quasi totalità degli italiani. Parlarne con retorica come si fa ancora oggi non è solamente stupido ma è soprattutto inutile e senza senso.

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