Dopo 14 ore di vertice a Pretoria, i leader dell’Africa australe hanno fissato per il 13 febbraio l’insediamento di un nuovo governo di unità nazionale nello Zimbabwe. I colloqui, ai quali hanno partecipato otto capi di Stato e i rappresentanti dei tre maggiori partiti di Harare, si sono focalizzati su due punti principali: la necessità di una gestione condivisa del ministero degli Interni e l’organizzazione del giuramento del governo d’unità. La Sadc ha, infatti, fissato per il 5 febbraio la scadenza entro la quale il parlamento zimbabwese dovrà approvare l’emendamento costituzionale che istituisca la carica di primo ministro e di vice ministro. Tutti i rappresentanti della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe e in particolare Thabo Mbeki, l’ex-presidente del Sudafrica protagonista degli sforzi diplomatici sfociati negli accordi di settembre, hanno sottolineato che solo la nascita di un esecutivo “di unità” può permettere di affrontare in modo efficace i tanti problemi economici e sociali dello Zimbabwe. Tuttavia, l’opposizione di Harare, capeggiata da Morgan Tvangirai, ha espresso “insoddisfazione” per l’esito del vertice, accusando i leader africani per non aver “soddisfatto le attese”. “Come possiamo accettare di entrare in un governo di unità nazionale quando i problemi non sono stati risolti?” ha tuonato il portavoce del Mdc, Nqobizitha Mlilo, rammentando i diversi problemi che affliggono il Paese, come l’inflazione, il collasso dei servizi sociali, il colera e la crisi economica. Mlilo ha poi aggiunto che i capi del partito, che si riuniranno venerdì per decidere le prossime iniziative, chiedono l’ assegnazione del ministero dell’Interno e la scarcerazione dei dissidenti. Richiesta a cui il presidente Robert Mugabe e i capi africani hanno risposto: “l’opposizione dovrebbe prima accettare di formare l’esecutivo, quindi risolvere i problemi posti.” La posizione del Movimento per il cambiamento democratico sembra fomentata dall’ostile linea europea nei confronti del presidente Mugabe, “colpevole” di aver promosso una riforma agraria che penalizza gli interessi inglesi e occidentali. Tanto che in coincidenza con l’inizio del vertice straordinario della Sadc, i ministri degli Esteri dei paesi Ue, riunitisi per il Consiglio Affari generali e relazioni esterne, hanno prolungato di un anno le sanzioni, già in vigore, contro il governo di Mugabe e allungato la lista di persone e società zimbabwesi sottoposte a restrizioni all’interno dell’Ue. Inoltre, l’Unione Europea ha espresso “viva preoccupazione” per l’aumento del commercio illegale di diamanti nello Zimbabwe, che sosterrebbe finanziariamente il governo di Mugabe. Due anni fa il presidente cercò di far fronte al traffico illegale nazionalizzando tutte le concessioni minerarie. Ma la Zimbabwe Mining Development Corporation, la compagnia di Stato, non ha i fondi per estrarre le pietre preziose, che continuano ad essere contrabbandate all’estero con la complicità delle forze di sicurezza corrotte. Le pietre preziose finiscono in Israele, Gran Bretagna, Stati Uniti per essere tagliate. Un commercio che coinvolge tutti, ma che sembra trovare nella figura di Mugabe il capro espiatorio. Forse per questo, la decisione di estendere le sanzioni contro Harare sembrerebbe più una strategia occidentale per far affondare definitivamente il Paese.
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