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Lieberman e la pace a senso unico

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Venerdi 24 Aprile 2009 – 15:54 – Matteo Bernabei stampa
Lieberman e la pace a senso unico



Anche Lieberman fa dietrofront. Dopo le pesanti dichiarazioni di mercoledì scorso, riguardo alla proposta di pace araba, persino l’irriducibile leader del movimento laico radicale, Israel Beitenu (foto) è stato costretto a tornare indietro e a chiarire le sue affermazioni. Il ministro degli esteri di Tel Aviv aveva infatti affermato che l’iniziativa di pace araba era solo “una ricetta per la distruzione di Israele”. Lieberman, ieri, ha invece spiegato che le sue parole si riferivano soltanto alla parte della proposta nella quale viene sancita la possibilità del ritorno dei profughi palestinesi all’interno dell’entità sionista. Una cosa che eliminerebbe la definizione di Israele come “Stato ebraico”, cosa che invece il nuovo esecutivo di centrodestra ha posto come clausola per la ripresa delle trattative. “Nostro interesse è prendere noi stessi l’iniziativa e andare avanti. Non ha senso perdere tempo o trascinare i piedi: vogliamo guidare, non essere guidati - ha spigato Lieberman nel corso di un’intervista alla radio israeliana - non ho mai parlato di dominare un altro popolo, ma ognuno deve chiedersi perché, dopo abbondanti negoziati e il trasferimento di imponenti fondi, ci troviamo ancora a un vicolo cieco”. Il leader della destra radicale è poi tornato a parlare della conferenza di Annapolis e del perché il nuovo esecutivo di Tel Aviv si rifiuta di riconoscerne la validità. “Non ho visto i palestinesi organizzarsi per smantellare una singola organizzazione terroristica – ha dichiarato il capofila dell’Israel Beitenu - la logica di Annapolis era di avviare negoziati per un accordo di pace, che è impossibile raggiungere in modo artificiale, ognuno deve costruirlo con la logica, passo dopo passo”. Dietro le parole di Lieberman ci sarebbe, però, la volontà del governo israeliano di portare all’attenzione degli Stati Uniti un proprio piano, che dovrebbe essere discusso da Benjamin Netanyahu e Barack Obama, nell’incontro del mese prossimo a Washington. L’iniziativa sarebbe divisa in tre punti: lo smantellamento del programma nucleare iraniano, relazioni più strette con i Paesi arabi moderati e il dialogo con i palestinesi attraverso diversi canali. Ovviamente tutto solo a condizione che siano accettate le clausole già espresse da Tel Aviv, cosa che, secondo alcuni esperti, l’entità sionista avrebbe posto come una sorta di contropartita per il riconoscimento dei diritti dei palestinesi ad avere un proprio Stato. Nel mentre il primo ministro “Bibi” Netanyahu starebbe cercando di raggiungere un accordo con il governo nordamericano per definire “limiti alla sovranità” del futuro Stato di Palestina, sempre in nome della sicurezza israeliana. Limiti che, di fatto, impedirebbero a quello che sarebbe il prossimo governo palestinese di avere il pieno controllo del proprio territorio. Sarebbero previste, infatti, limitazioni nell’avere forze armate o nello stringere alleanze militari, barriere che permetterebbero a Israele di continuare a sorvegliare i propri confini dall’esterno e di tenere sotto scacco armato i propri vicini, che in questo modo non sarebbero nemmeno in grado di difendersi. Nulla di nuovo, dunque, rispetto alla situazione attuale.

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