Il modello americano è in crisi. Il modello di “libero mercato” che aveva sempre costituito il fiore all’occhiello del sogno a stelle e strisce mostra sempre più le sue crepe. Un mercato nel quale bastava l’iniziativa individuale e la voglia di darsi da fare in un progetto ritenuto valido, ed ecco che subito si materializzavano i soggetti, banche o finanziarie, pronti ad imprestare i soldi necessari all’aspirante “self made man”. Un mercato nel quale, teoricamente, lo Stato non metteva bocca e lasciava che i soggetti privati in campo si sfidassero e prevalessero l’uno sull’altro o in alternativa si dividessero il mercato. Tutto questo modello che aveva fatto degli Stati Uniti la prima potenza economica del mondo è oggi da ritenersi superato e messo in crisi proprio nel suo elemento più caratterizzante: l’assenza della mano pubblica. Una mano che in realtà si faceva sentire ed eccome nel tutelare con dazi all’importazione le merci americane da quelle dei Paesi stranieri, specie europee e giapponesi. Oggi la crisi tocca il mercato interno e la sua capacità ad autoregolarsi. E il de profundis è stato intonato dal quotidiano “liberal” Washington Post che ha commentato in tale ottica il quasi fallimento della Lehman Brothers una delle prime quattro banche d’affari Usa messa in crisi dalle sue speculazioni nel mercato dei mutui subprime e l’intervento dello Stato che con un investimento di 200 miliardi di dollari ha nazionalizzato Freddie Mac e Fannie Mae, le due principali società operanti nel mercato dei mutui immobiliari. Un intervento che dopo quello analogo per Bear Stearns, potrebbe rendersi necessario anche per la Lehman Brothers. E allora secondo il quotidiano dell’establishment Usa, “i salvataggi rivelano una crisi di fiducia nel libero mercato”. E il giornale ricorda la via americana alla felicità individuale e cita le qualità che sono sempre state al centro sia della identità nazionale che del modello economico Usa: “Fiducia in sé, responsabilità individuale, fiducia nel libero mercato, fiducia nel fatto che la gente dovrebbe avere la possibilità di fallire o riuscire sulla base del duro lavoro e della ingegnosità del singolo”. Da qui il Washington Post reputa “straordinario” il fatto che il governo ora si trovi immerso nella gestione diretta dell’economia, attraverso il salvataggio di quattro dei principali gruppi finanziari del Paese messi in crisi “dalla dura disciplina dei mercati e dalle conseguenze dei loro errori di giudizio”. Infine il quotidiano che tifa per Barack Obama, ironizza che tale interventismo statale venga fatto da un Presidente repubblicano che ha fatto della privatizzazione, della deregulation e della fiducia nei liberi mercati il punto centrale della sua politica economica. Ma il problema vero è che forse il WP che tifa a parole per il libero mercato “puro” e che ignora volutamente lo storico interventismo dei democratici, non riesce nemmeno a concepire che possano essere forse sbagliati i principi del Libero Mercato visto che è la loro applicazione a diffondere la povertà in sempre maggiori fasce di popolazione e al tempo stesso innescare una redistribuzione di reddito verso i ricchi che ogni giorno che passa risultano sempre più ricchi. Negli Stati Uniti come in Europa.