La classe politica di una nazione è sempre espressione della sua storia. L’attuale classe politica, nonostante tutte le varie “mutazioni genetiche” degli ultimi anni, resta figlia, o al massimo nipote, di coloro che giunsero al potere a bordo delle jeep dell’invasore americano o comunque raggiunsero il parlamento dalle fila di coloro che in nome dell’internazionale comunista furono complici di chi voleva appropriarsi di un bel pezzo d’Italia e fu assassino di italiani o complice di assassini. In poche parole questa è una classe politica antinazionale e quindi non ci stupisce nemmeno tanto che in Parlamento ci sia pure una forza come la Lega che ha inventato la Padania, e a intervalli regolari parla di secessione. Questo per comprendere quanto non ci sia da parte nostra alcun particolare afflato con i politicanti di Palazzo; nonostante ciò, nonostante questa sia una politica con la “p” decisamente minuscola, ci piace ancora meno la cosiddetta “antipolitica” ovvero il qualunquismo più o meno organizzato, nemico dell’interesse nazionale e forse strumento occulto per faccendieri in cerca di fortune e di salotti apolidi nemici di tutti i popoli. Non ci piace nessun movimento o presunto tale che comincia con “anti”, perché non si costruisce nulla solo distruggendo, senza ideali di riferimento e progetti di grande respiro. Per questo motivo abbiamo visto con sospetto e certo non con simpatia i “vaffa day” di Beppe Grillo e sempre criticato i suoi sermoni moraleggianti contro tutto e contro tutti, ma in pratica perfettamente funzionali al sistema attuale. Così ci fa piacere apprendere che la sua raccolta di firme per tre referendum abrogativi è miseramente fallita. I tre quesiti riguardavano l'abolizione dell'ordine dei giornalisti, i finanziamenti pubblici all'editoria e la legge Gasparri sulle frequenze tv, ma la Cassazione ha ieri rilevato importanti irregolarità per svariate centinaia di migliaia di firme così che nessuno dei tre referendum avrebbe raggiunto la soglia delle cinquecentomila sottoscrizioni indispensabili per sottoporlo al giudizio popolare. E se non altro questo farà risparmiare agli italiani parecchi soldi mentre proprio Grillo, cioè il suo comitato promotore, non riceverà alcun contributo elettorale. Già perché nessuno ha mai detto, e tanto meno Grillo, che per ogni referendum il comitato promotore riceve un contributo elettorale, più o meno quanto succede per il finanziamento dei partiti. E questo spiega pure perché i radicali hanno sempre proposto un numero assurdo di referendum, anche assolutamente cretini: perché facevano cassa. Già il supermoralista comico genovese ha tuonato contro le provvidenze dell’editoria, che nello spirito della legge servono a garantire la pluralità dell’informazione, ma non ha mai detto una parola sul finanziamento dei referendum oppure sulle provvidenze allo spettacolo o sui fondi destinati a finanziare pellicole cinematografiche che magari non raggiungono mai la proiezione nei cinema. Finanziamenti questi ultimi concessi da una commissione, quindi in modo del tutto soggettivo, per non dire arbitrario, e finiscono sempre nelle tasche dei soliti noti. In realtà Grillo, come stabilisce la Legge, è stato convocato in Cassazione per il prossimo 25 novembre, dove potrà esprimere le sue controdeduzioni e speriamo che non ci siano spazi per “salvare” almeno uno dei tre quesiti. Ci auguriamo invece che questa bocciatura popolare metta la parola fine alla stagione dell’antipolitica, in effetti ce ne è già troppa anche in Parlamento.
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