Al XX congresso del Pcus (Mosca, 17-31 ottobre 1961), Nikita Krusciov costrinse il vertice del partito a riconoscere gli errori dello stalinismo. Tra gli altri, in particolare, Vorosilov fu forzato ad una pubblica autocritica per la sua complicità in quelli che venivano ritenuti “i crimini di Stalin”. Iniziava così il disfacimento del regime sovietico, completato trent’anni dopo dall’atto di suicidio firmato dall’ultimo segretario, Mikhail Gorbaciov. L’autocritica, peraltro, è sempre stata una prassi metodologica – forzata o spontanea - della dialettica interna ai partiti della cosiddetta III Internazionale (meglio: Internazionale Comunista o Komintern), dai tempi di Lenin a quelli di Mao. In verità, seguendo un’intuizione del giudeo-cristiano Paolo (Saul), critica e autocritica sono stati i mezzi interni ai partiti comunisti per risolvere le emergenti contraddizioni di pensiero e di linea politica. Cioè, come affermano i loro testi sacri, “partire dall’unità e praticare la critica e l’autocritica per raggiungere una nuova e superiore unità. Questo procedimento deriva dal ritenere le contraddizioni interne come contraddizioni in seno al popolo e non antagoniste”.
Voi direte: ma a noi, di ciò, cosa importa? In verità non è di interesse alcuno per la generalità degli italiani tutti. E’ la storia che ha bollato la fine di quell’esperimento e dei suoi metodi manicomiali. Però, però… se nonostante quanto accaduto c’è ancora qualcuno che ritiene doveroso fregiarsi di quel distintivo usurato, questo qualcuno, per cortesia, sia almeno conseguente, e faccia un po’ di autocritica. La realtà. Alle ultime elezioni europee le due formazioni che, una teoricamente di più l’altra teoricamente di meno, si richiamavano a quel mondo, la lista Prc-Pdci-Sinistra e la lista Sinistra e libertà, comprensiva di socialisti, verdi e quant’altro hanno raccolto insieme 1.996.705 voti. Contro 4.223.683 nel 2004 (e gli ex ds di Mussi erano fuori dal computo dei voti…). Avevano 11 seggi e ora ne hanno zero. Se la matematica – anzi: l’aritmetica - non è un’opinione, hanno dunque perduto circa due terzi dei consensi in cinque anni. Ma, con enorme faccia tosta, la nomenclatura comunista et similia si rifiuta di prendere atto della sconfitta. Se si leggono i loro bollettini del dopo voto, sia quelli dei comunisti spurii con aggregati vari (sinistraelibertà: “Un milione di grazie, Zapatero, vittoria all’estero, sconfitta apparente, risultati che ci incoraggiano”), sia quelli dei comunisti doc (più con i piedi per terra: “le elezioni sono andate male, ferrero e diliberto presto uniti, ripartiamo da qui, rabbia di diliberto, con il 6,5 per cento sl sdoganata dialoga con il pd”), è un coro di rifiuti a prendere atto della realtà.
Ma… e l’autocritica? Riposta totalmente nel cassetto? Possibile che credano veramente di essere nel giusto, di non aver sbagliato nulla? Per noi – ça va sans dire – hanno sbagliato naturalmente tutto: le aggregazioni impure, le parole d’ordine “diverse”, la costruzione di partiti personali e oclocratici, le tattiche entriste a favore delle guerre atlantiche (Serbia 1999), la riscoperta dell’antifascismo, le analisi sul mutato mondo sociale. Ma, si sa, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire (e peggior ipocrita di chi guarda le bisacce degli altri senza guardare le proprie).
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