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Obama si accorge del Paese dei Cedri

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Venerdi 13 Febbraio 2009 – 18:41 – Alessia Lai stampa
Obama si accorge del Paese dei Cedri



A pochi giorni dal quarto anniversario dell’uccisione dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, il presidente americano Barack Obama ha espresso ieri “pieno sostegno” al Tribunale Speciale per il Libano che sta indagando sull’attentato che provocò anche la morte di altre 22 persone, avvenuto a Beirut il 14 febbraio 2005 (foto).
“Il suo sacrificio non sarà vano” e gli Usa faranno il possibile per contribuire al lavoro del Tribunale “per portare in tribunale i responsabili di questo crimine orrendo”. Un intervento “dovuto”, visto il recente insediamento del neo-presidente Usa, e in particolare visto che il Libano si prepara alle elezioni parlamentari che dovrebbero tenersi quest’anno, dopo che qualche mese fa il parlamento ha trovato l’accordo sulla nuova legge elettorale dopo una lunga empasse. “Gli Stati Uniti continueranno a sostenere la sovranità e l’indipendenza del Libano, le legittime istituzioni dello stato libanese e il popolo libanese”, ha affermato Obama.
Il Tribunale Speciale per il Libano costituito all’Aja, nei Paesi Bassi, inizierà i suoi lavori il primo marzo, dopo che la commissione internazionale istituita dall’Onu per indagare sull’omicidio dell’ex premier libanese Hariri ha consegnato l’esito delle sue ricerche alla Corte speciale. Ne hanno dato notizia i media libanesi, che hanno riportato l’annuncio del trasferimento degli atti da parte del primo ministro di Beirut Fouad Siniora.
La Commissione e la successiva istituzione del tribunale, che fu approvata dal governo libanese a novembre del 2006, in piena crisi istituzionale, senza il voto dei ministri dimissionari di Amal e Hizbollah, ha rappresentato e rappresenta una palese ingerenza internazionale nelle faccende interne del Paese dei Cedri. Ma tant’è: è gradita dal governo filo-atlantico di Fuad Sinora, che in concordia con gli Usa e la Francia non ha mai smesso di accusare Damasco della strage di San Valentino. La dimostrazione dell’arbitrarietà dell’istituzione la diede subito la gestione della commissione d’inchiesta da parte del giudice tedesco Detlev Mehlis, che fece dirette accuse alla Siria ricorrendo addirittura a falsi testimoni poi smascherati. Una gestione imbarazzante, che portò alla sostituzione di Mehlis con Serge Brammertz, attuale presidente del Tpi per la ex Jugoslavia. Tutte le “prove” e le “testimonianze” in base alle quali i primi due rapporti di Mehlis accusavano i generali siriani dell’omicidio vennero verificate e crollarono.
La sostituzione di Mehlis con il criminologo belga Serge Brammertz aprì una nuova fase, in cui i rapporti stilati di volta in volta si fecero più prudenti e meno provocatori e in cui lo stesso magistrato giudicò sempre “soddisfacente” la cooperazione fornita dalla Siria ai lavori dell’indagine pur non rinunciando a ventilare le responsabilità di Damasco o dei suoi servizi segreti nella vicenda.
Dal novembre del 2007 Brammertz è stato sostituito da giudice canadese Daniel Bellemare, che l’altro ieri ha dichiarato che allo stato attuale le indagini sono “libanesi, attraverso il coinvolgimento della procura generale del Libano. Il nostro lavoro – ha aggiunto Bellemare – è di assistere il sistema giudiziario libanese”. Da marzo, ha poi spiegato, “io stesso mi occuperò di far proseguire le indagini” .
Quasi un anno fa, nel marzo del 2008, nel decimo rapporto d’indagine sull’omicidio Hariri, Daniel Bellemare sosteneva l’esistenza di una vera e propria “rete criminale”, operativa già prima dell’uccisione dell’ex premier, responsabile anche di diversi altri recenti omicidi politici in Libano.
Nel rapporto, Bellemare scriveva che Damasco ha collaborato con le indagini in maniera “generalmente soddisfacente”, ma che la commissione “continuerà a richiedere alla Siria piena collaborazione”.
L’attentato di san Valentino costrinse di fatto la Siria, con le pressioni internazionali e le risoluzioni Onu, al ritiro dal Libano. Una conseguenza prevedibile. Ci si domanda per quale ragione Damasco avrebbe dovuto volere la morte dell’ex premier, tra l’altro storicamente amico della Siria, ben sapendo che sarebbe stata subito indicata quale mandante dell’omicidio. È più probabile che una rete fatta di membri dei servizi sia libanesi che siriani, etero-guidata da servizi segreti Usa e israeliani, abbia potuto mettere in atto un piano che poi ha ottenuto l’effetto di destabilizzare fortemente tutta la regione.
Il caso dell’arresto del capo dell’intelligence militare siriana, Assef Shawkat, per il suo presunto coinvolgimento, quale uomo della Cia, nell’uccisione del capo di Hizbollah in Libano Mugnyeh, dà l’idea di cosa si muova nel sottobosco dei servizi segreti vicinorientali e soprattutto “chi” muove il tutto.

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