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I morti di Gaza non esistono: evviva la "libera informazione", evviva la "cultura"

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Giovedì 6 Marzo 2008 – 15:01 – Enrico Galoppini stampa
I morti di Gaza non esistono: evviva la



In Palestina sono decenni che, quando più quando meno, l’esercito di un’impresa occupante per conto dell’Occidente chiamata “Stato d’Israele” (ma la cui esatta definizione, non ci stancheremo mai di dirlo, è “Entità Sionista”) sottopone la popolazione locale ad ogni tipo di vessazione, dalla distruzione di case, infrastrutture, uliveti e coltivazioni all’assassinio puro e semplice (meglio se di famiglie intere), passando per quelle “misure di sicurezza” come il sistema di “muri” che hanno ridotto la Palestina ad un enorme campo di concentramento, o quei “provvedimenti amministrativi” ordinari (quali le discriminazioni sull’accesso alla proprietà o alle vie di transito a seconda se si è “israeliani” o “palestinesi”) ed eccezionali (quali l’embargo che ha ridotto di recente la popolazione di Gaza né più né meno come quella del celebre Ghetto di Varsavia) che fanno della vita quotidiana degli autoctoni un autentico calvario.
In alcuni frangenti, poi, va in scena l’orrore allo stato puro. Il “male assoluto” già evocato da ometti di nessuno spessore politico per i loro opportunistici calcoli mirati ad ingraziarsi i potenti…
Al termine di un periodo che ha visto la popolazione di Gaza (rea di sostenere Hamas, a sua volta reo di non “riconoscere Israele”, il moderno ‘vitello d’oro’) al freddo, al buio e alla fame a causa della privazione da parte del governo israeliano (in combutta con Usa ed Ue) dei basilari mezzi di sostentamento (e di cura), e che l’ha vista protagonista di memorabili pagine di “resistenza pacifica” come lo sfondamento del muro che separa Gaza dall’Egitto per andare a prendersi il necessario per vivere o la catena umana di circa 40 km che ha visto uniti uomini, donne, vecchi, bambini reclamare un briciolo di pietà e di coerenza da parte di chi dei “diritti umani” ha fatto uno stendardo (agitato quando fa brodo), al termine dunque di questa Via Crucis è arrivata, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, una tempesta di fuoco (con la consueta sadica denominazione parabiblica) che non ha risparmiato niente e nessuno: oltre cento i morti, tra cui donne, ragazzini, bambini di sei mesi e addirittura di due giorni! Sacrifici umani del terzo millennio nel silenzio totale della cosiddetta “libera informazione”, così solerte nel farci conoscere il nome degli artigianali “razzi Qassam” palestinesi, onde creare correnti d’opinione favorevoli a comprendere le ragioni della “rappresaglia”, mentre non ci è dato di sapere come si chiamano i missili e i colpi di carro armato, altamente tecnologici, che sventrano le case dei palestinesi (i parenti degli immigrati che dovremmo “rispettare”!) e le donne incinte di Ràfah, Khan Yùnis, Jabàliya.
I giornali e le tv “autorevoli” fanno a gara a chi nasconde meglio la verità (e i cadaveri). Prendiamo un esempio tra i tanti che compongono una “storia d’ordinaria censura”.
“La Stampa”, il 3 marzo, a mattanza (quasi) conclusa, ha avuto la faccia tosta di pubblicare, a corredo del solito insulso articolo che gira intorno alla cosa (e, soprattutto, giustifica l’operato di Tel Aviv con ragioni di “sicurezza”), la foto di un “militante palestinese” con la kefia da “terrorista” e il sasso in mano. Ecco, “Israele si difende”, penserà il lettore sprovveduto…
Non mancavano poi le foto delle solite bandiere israeliane e americane bruciate, come se bruciare una bandiera equivalesse a bruciare vive delle persone in casa loro. E che dire dei triti e ritriti appelli affinché “si plachi la violenza”, la “spirale di violenza” cara agli arcobalenisti bertinottiani e, ci riporta lo stesso giornale, anche al Papa?
La palma del ‘disinformatore professionista numero 1’ l’ha guadagnata sul campo l’inviato della Rai Claudio Pagliara, coi denti digrignati e l’aspirata iniziale di “Hamas” che raschia quel tanto da tradire da chi ne ha appreso l’errata pronuncia… messo lì dopo il siluramento di Riccardo Cristiano e lo sbolognamento in Cina dell’“imparziale” Paolo Longo; invece Filippo Landi, altro inviato in zona, non si sa come stia occupando il suo tempo, dato che lo si vede sì e no una volta al mese, mentre Neliana Tersigni, anch’essa poco “affidabile” per Sion, dall’ufficio del Cairo ormai compare solo per raccontare delle innocue banalità. Questo Pagliara, ricordiamolo, è un giornalista della Rai, quindi un dipendente pubblico e perciò responsabile di fronte ai contribuenti del suo operato, che dovrebbe essere “deontologicamente” imparziale e non del tutto assimilabile alla trombetta del 7° Cavalleggeri dei film di John Wayne in versione kippata.
I principali spazi d’informazione presenti su internet, inoltre, non sono da meno: lo stesso “YouTube” sta già provvedendo a rimuovere, per “violazione delle condizioni d’utilizzo” (ma che c… vuol dire!?), alcuni filmati che mostrano cosa è realmente accaduto a Gaza: la censura e lo stravolgimento della realtà, condite dalla neolingua mediatica per cui l’aggredito è l’aggressore, la vittima il carnefice ecc., sono la regola aurea del mondo della pretesa “libera informazione”.
Morso dal dubbio di vivere in un incubo, c’è chi s’è messo a controllare come le principali testate europee hanno coperto i recenti fatti di Gaza ( http://sabbah.biz/mt/archives/2008/03/02/gaza-holocaust-free-media/): chi trova un trafiletto è fortunato!
Quando TUTTI si comportano allo stesso modo NON può essere un caso.
Il risultato è che il pubblico che crede di sapere tutto invece non sa un fico secco, perché basta seguire “Aljazeera” e cercare qualche foto sui siti delle agenzie in lingua araba (un’antologia è qui: http://www.cpeurasia.org/?read=6877) per rendersi conto che o tutto quel che fanno vedere questi “terroristi islamici” è frutto di qualche manipolazione al computer o siamo di fronte alla più grande operazione di sviamento delle coscienze mai vista prima: plotoni di giornalisti fabbricati in serie con l’autocensura incorporata fabbricano a loro volta le notizie e il consenso, ripetendo le solite frasi fatte ed infarcendo i loro ‘temini’ di fuorvianti termini-chiave messi in circolazione per dominare il discorso, e chi prova a dire come stanno le cose viene fatto fuori, additato come un pazzo e fatto oggetto di solerti attenzioni da parte della magistratura (v. la vicenda di Paolo Barnard, probabilmente reo d’aver profanato il ‘vitello d’oro’ col suo libro e la partecipazione a qualche iniziativa in odor di zolfo).
L’Occidente sprofonda in un mare d’ipocrisia e d’insensibilità: per tutti questi esseri umani trucidati da una barbarie, una perfidia e una malafede che non hanno eguali al mondo (si pensi al piagnisteo olocaustico), nessuna “guerra umanitaria” verrà scatenata dalla Nato (sono “affari interni”!), nessun “tribunale” e nessuna “alta corte di giustizia” pretenderà la testa di Olmert (il “premier”), con l’Onu - questo baraccone completamente inutile - che non è nemmeno in grado di emettere una misera “risoluzione” per allungare l’elenco, già chilometrico, di quelle diventate istantaneamente carta igienica alla faccia del “diritto internazionale”. E come se non bastasse, a Torino è tutto uno sbracciarsi da parte di chi ha un qualche ruolo istituzionale per accogliere “Israele” come ospite d’onore al Salone del libro. Ora avrei capito l’invito se si trattasse di un Festival del cinema dell’orrore, o dell’inaugurazione del museo della tortura, ma non si capisce che cosa abbia a che vedere con la “cultura” l’invito ad uno “Stato” con licenza di uccidere impunemente anche i bambini.
C’è chi ha detto “quando sento dire ‘cultura’ metto mano alla pistola”… ed è sempre stato dipinto come un mostro (anche se non voleva intendere quello che gli si attribuisce).
Ma celebrare la ‘cultura’ di chi mette mano alla pistola (contro dei bambini) non è forse altrettanto mostruoso?
Se ci fosse un po’ di decenza, e se a “cultura” corrispondesse ancora qualcosa di concreto, s’inviterebbero a parlare i superstiti delle famiglie palestinesi decimate (cioè quasi tutte!), e invece ci toccherà sorbire la solita sequela di “sopravvissuti” e ‘miracolati’ dell’Olocau-sto coi loro libri di “memorie”… “per non dimenticare” e affinché “non si ripeta mai più”.
In questo contesto sinceramente sconcertante, c’è un libro solo che, piuttosto, andrebbe presentato e discusso a Torino: il libro nero dell’informazione, dei giornali e delle tv, il libro nero della coscienza nera di chi non vuol vedere che oggi “si ripete” meglio e più di prima.

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