Le elezioni politiche non verranno rinviate, si svolgeranno, come previsto, il 13 e 14 aprile. La Democrazia Cristiana di Giuseppe Pizza, anche definita la sardina bianca, considerate le differenti dimensioni rispetto all’originale balena bianca di qualche tempo fa, sembra intenzionata a rinunciare al suo diritto a trenta giorni di campagna elettorale. Questo in fondo potrebbe essere un vantaggio per il micropartito democristiano, perché i tempi ristretti potrebbero impedire una larga divulgazione dei vari simboli scudocrociati, favorendo la confusione, e qualsiasi migrazione casuale di voto finirebbe per privilegiare proprio chi all’origine conta meno consensi. Tutto questo ovviamente se non cambieranno nuovamente le carte in tavola visto che ancora pende, l’8 aprile, l’udienza nel corso della quale il Tar del Lazio entrerà nel merito del ricorso elettorale proposto dal partito di Pizza. E’ stato infatti protocollato formalmente il decreto di fissazione dell’udienza da parte del presidente della II Sezione bis Eduardo Pugliese. Solo all’esito dell’udienza di merito sarà pubblicata la sentenza che chiuderà formalmente il giudizio davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio. C’è poi in ballo anche la richiesta del Viminale al Consiglio di Stato di revocare l’ordinanza che ha riammesso alle politiche la Dc e un ricorso alle sezioni unite della Corte di Cassazione per decidere una volta per tutte la competenza sulle questioni elettorali. La riammissione del simbolo della Dc comporterebbe ovviamente la ristampa di tutte le schede elettorali che, hanno assicurato dal ministero competente, potrebbe essere realizzata anche in una sola notte, con un costo aggiuntivo ancora non quantificato ma certamente non esiguo. Appare del tutto evidente che la presenza o meno della minidiccì alla competizione elettorale non potrà in alcun modo modificare l’esito finale, ma questa vicenda ci stimola almeno due considerazioni. La prima. Da troppo tempo le iniziative giudiziarie, di ogni genere, pesano sulla politica in modo troppo ingombrante. La seconda. Non si capisce perché mai si precluda la partecipazione alle elezioni ai nuovi movimenti di base, impossibilitati alla raccolta delle firme nel modo richiesto dalla legge, ma poi si spalancano le porte a partiti virtuali o realizzati ad hoc solo perché possono contare sull’appoggio di esponenti già nel Palazzo. Quasi un terzo degli italiani non partecipa al voto, non per qualunquismo, ma perché non trova sulla scheda un partito che lo possa rappresentare.
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