In guerra e in amore è tutto ammesso. Almeno così recita un antico proverbio. Ma in campagna elettorale ancor di più, si dovrebbe aggiungere. I candidati, soprattutto i due reali aspiranti alla poltrona di Palazzo Chigi, sembrano infatti ormai fare a gara a chi la spara più grossa, a chi fa la promessa più mirabolante. Tanto promettere non costa nulla. Eppure la campagna elettorale, così come pure la guerra e l’amore, dovrebbe avere regole ben precise, non solo regolamenti da rispettare, a volte stupidi come la par condicio, ma anche regole etiche che non dovrebbero nemmeno aver bisogno di essere scritte. Quando si vuole indicare una pratica indecente in campagna elettorale si fa sempre riferimento a quanto avvenne a Napoli nell’immediato dopoguerra quando, si dice, perché potrebbe addirittura essere una leggenda metropolitana, ci fu un noto esponente del partito monarchico che non solo regalò pacchi di pasta in cambio di voti ma inventò anche un geniale tipo di voto di scambio. Pare che regalasse scarpe destre prima del voto e le sinistre solo poi ad elezione avvenuta. Sull’indecenza dell’azione non c’è bisogno di aggiungere nulla, ma va comunque rilevato che tal politico, all’atto della promessa aveva già dovuto impegnarsi per il suo totale mantenimento, le scarpe le aveva infatti comunque comprate, ed inoltre effettivamente l’impegno finale veniva soddisfatto. Berlusconi e Veltroni non promettono scarpe, ma aumenti salariali e pensionistici con la stessa finalità con la quale veniva un tempo elargita la calzatura. La differenza sta però nel fatto che “la scarpa sinistra” dei leader di Pd e Pdl non arriverà mai. E anche ammesso che troveranno mai un modo per elargire gli aumenti promessi i soldi necessari verranno prelevati sempre dalle stesse tasche dei lavoratori. Questi governi liberaldemocratici non hanno gli strumenti per fare altro: possono tagliare qua e là qualche spesa tagliando però anche i pubblici servizi, possono vendere (o svendere) qualche azienda pubblica, ma non possono toccare più di tanto i profitti degli imprenditori pronti a delocalizzare le loro produzioni altrove fuori dall’Italia. Per cambiare veramente, per mettere veramente il lavoro al centro dell’economia italiana (e non le speculazioni), per rilanciare lo stato sociale e garantire a tutti gli italiani un lavoro e una casa serve un’economia socialista, il rilancio delle grandi opere, la nazionalizzazione delle aziende strategiche, la protezione della produzione italiana. Questo però non è e non potrà mai essere nei programmi né di Berlusconi né di Veltroni. E nemmeno nei programmi della Sinistra arcobaleno che ha già fatto accordi ovunque per governare localmente con i liberaldemocratici di Veltroni, anche a Roma. Insomma, a conti fatti, quelle famose scarpe sono state superate.
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