Nell’antica Grecia le guerre venivano interrotte per poter disputare regolarmente le Olimpiadi. Le Olimpiadi moderne seguono la regola opposta: si sono interrotti i giochi per poter disputare le guerre, ma solo per i due conflitti mondiali. Sulle altre guerre e guerriglie combattute per il mondo, è stato fatto finta di nulla. Gli americani, per esempio, mentre combattevano in Corea o in Vietnam hanno tranquillamente gareggiato dividendo equamente bombe al napalm e record sportivi. La guerra fredda, che ha caratterizzato i primi decenni del secondo dopoguerra, ha ovviamente interessato anche le competizioni olimpiche. Usa e Urss hanno cercato di utilizzare il medagliere olimpico come una vetrina per dimostrare la superiorità dei loro modelli, spesso anche utilizzando massicce dosi di doping, in barba a tutti i dichiarati proponimenti decoubertiani, ma è stato l’avvento del mezzo televisivo a trasformare le Olimpiadi (e qualsiasi altro grande evento sportivo) in un veicolo ideale per ogni messaggio politico. I primi a trasformare un podio olimpico in una tribuna furono, nel 1968 a Città del Messico, gli atleti negri che durante la premiazione alzarono il pugno in un guanto nero, simbolo delle Black Panthers e della lotta degli afroamericani contro la discriminazione razziale. In seguito il Sud Africa venne escluso dai Giochi per la sua politica di aparthaid, che è poi la stessa che da sempre attua Israele nei territori palestinesi invasi, ma questo sembra non interessare nessuno. Nel 1980 gli Usa e i loro vassalli boicottarono i giochi di Mosca per protestare contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan (l’Italia come al solito brillò per ipocrisia, mandando una delegazione ridotta e priva di atleti militari) e nel 1984 ci fu la vendetta di Urss e paesi africani, che boicottarono a loro volta i giochi di Los Angeles. Tra pochi mesi si apriranno i giochi di Pechino, ma, a parte qualche protesta locale, nessuno pensa minimamente a boicottare i giochi cinesi. Il Tibet è lontano ed in fondo il regime teocratico che aspira al controllo di quella terra non è troppo simpatico a nessuno, ma il punto non è questo. Caduto il Muro di Berlino e dissolto l’impero sovietico il potere politico ha perso interesse per le Olimpiadi come vetrina, sostituito dal potere economico e globalizzante che si è invece tuffato sull’affare. I giochi si svolgeranno a Pechino, ma si sarebbero potuti svolgere in qualsiasi altra città del pianeta: i veri signori dei giochi sono le grandi multinazionali, quelle che non hanno bandiera e tirano le fila del mondialismo dai salotti buoni dell’alta finanza. Nessuno può permettersi di disturbare i loro investimenti miliardari. Se i tibetani hanno scelto questo momento per la loro rivolta fidando nel ricatto olimpico, hanno sbagliato i loro conti. Verranno tollerate piccole proteste individuali, come quella annunciata ieri dal capitano della squadra di calcio dell’India, che si rifiuterà di portare la fiaccola olimpica quando attraverserà Nuova Delhi, ma il governo formalmente comunista di Pechino può dormire sonni tranquilli: il regime mondialista non permetterà molto di più. Il capitalismo di Stato dei cattivi eredi di Mao ed il capitalismo occidentale hanno da tempo celebrato il loro matrimonio, che naturalmente non prevede diritti per nessuna sovranità nazionale, né in Tibet né altrove. E che Olimpiadi siano.
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