Fino a prova contraria, la Cina, tanto più quella “liberal-comunista” dei nostri tempi, non ha avuto mai, e non ha oggi, alcun interesse - culturale, economico, politico o geopolitico - in comune con l’Europa. Sappiamo di scandalizzare qualcuno, ma è un fatto incontrovertibile il suo auto-isolamento etnico, xenofobo, culturale. I duri conflitti con le dominazioni altre, durante il giogo della lunga conquista mongola, nella guerra “inglese” iniziata da McFarlane, passata con la rapina di Hong Kong, insanguinata dalla rivolta dei boxer e seguita dalla presa del potere dei nazionalisti, o contro lo strappo del Manchu-kuo nipponico, tanto per tracciare due o tre esempi sintomatici, rappresentano l’evidenza storica di tale fiera trincea etnica. La Cina è lontana e tale vuole rimanere. In compenso la Cina attuale è, invece, lapalissianamente, vicina agli Stati Uniti d’America. E ai De Michelis di turno che, sulla scia della grande apertura di Pechino al turbo-liberismo e al “Mercato” d’Occidente, hanno creato in territorio cinese la maggiore “area di libero scambio” del mondo. Fatta di industrie lì delocalizzate per ampliare i profitti del capitale finanziario a tutto danno del lavoro nazionale altrui. Tale Cina è oggi, inoltre e soprattutto, la “cassaforte” finanziaria di Wall Street e della City. Legata a doppio filo con il Tesoro americano: se cade la produzione e la cassaforte cinese, cade il consumo e il potere economico Usa. Questo è un invito al dibattito. |