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La storia infinita

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Giovedì 15 Maggio 2008 – 16:12 – Antonella Vicini stampa
La storia infinita



Hillary Clinton ha vinto in West Virginia. Confermando le aspettative dello stato bianco (dove solo il 4 per cento della popolazione è afro), tra i più poveri dei 50 stati della confederazione e con uno dei più bassi livelli di istruzione nazionale, la senatrice di New York ha intascato il 67 % delle preferenze dai suoi elettori tipo, staccando di netto il rivale (26% dei voti).
Un trionfo che non cambia sostanzialmente nulla negli equilibri, consolidati, di queste interminabili primarie democratiche, anche se la ex first lady ha colto l’occasione per tornare ad imbracciare la retorica dello lotta fino all’ultimo delegato che ormai caratterizza lo scontro tra i due Asinelli.
“Resterò in gara finché ogni elettore avrà l’opportunità di far sentire la sua voce”, ha dichiarato festeggiando la vittoria a Charleston, sottolineando ancora una volta che è lei “il candidato più forte per guidare il partito nelle elezioni di novembre”.
Ulteriore iniezione di ottimismo: “Dicono che la Casa Bianca si conquista negli swing states (i cosiddetti stati in bilico dove nessuno dei candidati riscuote un favore netto) e io vinco in tutti questi Stati”.
“Dopo questa straordinaria vittoria in West Virginia – ha proseguito - è chiaro che tutti gli esperti che sostenevano che la corsa era finita hanno sbagliato. Gli elettori hanno parlato forte e chiaro, vogliono che la sfida vada avanti”. Con buona pace dei vertici democratici, ormai rassegnati all’idea che fino all’ultimo appuntamento, il 7 giugno, andrà avanti un braccio di ferro che ha già fatto perdere abbastanza spazio e forza alla campagna elettorale, quella vera, che John McCain sta portando avanti ormai da due mesi.
Questo non interessa però alla Clinton decisa a perseguire il proprio obiettivo (“Non avrei fatto tutto questo se non credessi di poter essere il miglior presidente per la West Virginia e l’America e il candidato più forte per battere John McCain”, ha detto), nonostante tiri aria da bancarotta, né a Barack Obama che pur avendo perso nel Mountain State resta in testa non solo per numero di delegati, ma anche per i superdelegati – poche unità in realtà - che di giorno in giorno stanno esprimendo l’endorsement nei suoi confronti. Il piccolo bottino della Virginia occidentale (28 delegati da assegnare con il sistema proporzionale: 20 all’una e 8 all’altro) non ha avuto, quindi, la capacità di spostare sensibilmente l’ago della bilancia. Al senatore dell’Illinois mancherebbero ora meno di 140 punti per raggiungere il cosiddetto “numero magico” di 2025 per l’incoronazione a Denver, il prossimo agosto, e 189 sono in palio nelle 5 tappe rimanenti (Kentucky, Oregon, Porto Rico, Montana e South Dakota). Gli indecisi sono ancora circa duecento.
È nella prospettiva di un possibile trionfo che, intanto, Obama sta conducendo la sua propaganda contro l’avversario repubblicano già designato, tentando di recuperare un po’ del terreno in quest’altra gara, che sta conducendo in parallelo. Mentre la Clinton era a Charleston a brindare al suo successo, il candidato afro intratteneva infatti i potenziali elettori nel Missouri, lo stato dove ha vinto a febbraio, considerato uno degli swing state perché in bilico tra repubblicani e democratici. Intanto, il suo staff elettorale nei giorni scorsi ha provveduto a colmare le lacune del giovane senatore in quelle relazioni fondamentali per assicurarsi la poltrona della Casa Bianca. Sgomberando il campo dai dubbi sollevati dalle sue origini afro-islamiche, Barack Obama ha sottolineato nuovamente che niente e nessuno potrà mettere in discussione l’amicizia tra Stati Uniti e Israele, che è “infrangibile”, e ha promesso che garantirà la sicurezza dello stato sionista, facendo tutto quanto in suo potere “per permettere al popolo israeliano di crescere e prosperare, per costruire l’enorme promessa che è stata fatta 60 anni fa”. Una posizione rafforzata, subito dopo, dai fatti, e cioè dalla rimozione - mascherata da dimissioni- di Rob Malley, uno dei suoi consiglieri di politica estera, dal suo incarico dopo che la stampa Usa aveva rivelato “contatti regolari” con Hamas, per motivi di lavoro- Malley appartiene al think tank International Crisis Group. Un altro segnale del fatto che il candidato afro-americano si senta ormai in odore di vittoria.

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