Steve Mayer negli anni ’90 ha ricoperto la carica di vicedirettore per i Balcani della CIA, mentre oggi è professore universitario presso l’Università della difesa a Washington. Intervistato da un quotidiano della Republika Srspka, Mayer ha voluto precisare che le sue opinioni non sono da considerarsi “rivelazioni” dei segreti della Cia, ma piuttosto frutto di un’analisi personale su quanto sta accadendo nei Balcani. Mayer precisa inoltre che la Bosnia non rappresenta al momento un punto di discussione delicato all’interno della politica estera americana, al pari di Iran e Iraq, che sono invece rilevanti ai fini della campagna elettorale in corso negli Stati Uniti. Per ciò che riguarda la situazione interna alla Bosnia, Mayer afferma che, a suo parere, le tensioni costanti tra Federazione della Bosnia e Republika Srpska derivano da “un’alleanza innaturale di varie politiche comuni”, e dunque da una situazione che è stata creata con la forza. “I serbi non avrebbero mai voluto essere parte di questa alleanza, cosa che è risultata anche dal referendum per l’indipendenza, rimasto lettera morta”, afferma Mayer. “Io non credo che la Bosnia come Stato potrà durare ancora per altri dieci anni. Sono trascorsi 13 anni dopo il Trattato di Dayton e ancora ci sono tensioni, divisioni e odio. Nella Bosnia si convive solo perché questo è il volere della Comunità Internazionale, ma quanto questa andrà via sarà davvero difficile tenere la Bosnia unita come Stato perché non esiste volontà politica”, ha dichiarato Mayer. “Anche quando lavoravo presso l’amministrazione Cia ho sempre fatto tale proposta, ma è stata ritenuta un’alternativa che avrebbe destabilizzato la regione, anche se non credo molto a tale tesi”, ha concluso Mayer. Secondo Washington un unico Stato può essere una garanzia per la stabilizzazione nella regione, in quanto non implica dei cambiamenti nella configurazione delle frontiere. Allo stesso modo, Mayer analizza la situazione in Kosovo e dunque la strategia dei due pesi e delle due misure da parte della comunità internazionale, che ha spinto l’acceleratore concedendo l’indipendenza agli albanesi kosovari, strappando la terra ai serbi. Quanto meno, “non vi è alcun motivo ragionevole in base al quale è possibile concedere l’indipendenza ai kosovari ma non ai serbi di Bosnia”, commenta l’ex vicedirettore Cia per i Balcani. “Se è stato possibile fare un referendum in Montenegro, ed è stato possibile accettare le richieste dei kosovari, allora perchè non si può fare lo stesso nella Republika Srpska?”. Mayer ribadisce la necessità di lasciare al popolo la decisione ultima, perché solo questo ha la possibilità e il dovere di decidere come vivere. E lo stesso diritto spetta al governo della Republika Srpska, e nel momento in cui il popolo deciderà di essere indipendente, occorre che sia lasciato libero di esserlo. Mayer avverte però che la situazione politica nella Republika Srpska non è ancora matura o pronta per un tale passo. In Bosnia la costante tensione tra le due entità viene sempre vista come un continuo contrasto: anche quando si avvia una collaborazione vi è sempre un tocco di manipolazione che trasforma il tutto in odio. E’ il frutto della politica estera americana, ora non più interessata a guardare la Bosnia come negli anni ‘90 o nel 2000, quando tutte le decisioni si prendevano a Washington e gli ordini arrivavano dall’ambasciatore americano. La situazione oggi è cambiata e gli Stati Uniti non hanno più intenzione di agire direttamente nella regione. Sono le conclusioni di Mayer. Sembra proprio che Washington abbia allentato la morsa sui Balcani. E per la Republika Srspka il primo passo da fare è quello di proporre il referendum per restituire al popolo il suo potere di autodeterminazione.
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