Umberto Bossi è sempre stato un personaggio molto sopra le righe, qualche volta anche folcloristico nei suoi atteggiamenti. Per questo ogni suo gesto, ogni sua avventata affermazione è sempre stata in qualche modo giustificata, giudicata generosamente o comunque intesa sempre come una provocazione ingenua e non pericolosa o offensiva. C’è però un limite a tutto. Un ministro della repubblica italiana non può offendere l’inno nazionale, mai. Qui non si tratta più di girare in canottiera, sandalo e calzino corto, che è al massimo offesa al buon gusto; qui non si minaccia lo schieramento di milioni di virtuali doppiette padane, che è al massimo offesa alla ragione: questo è vilipendio della patria. Domenica scorsa, a Padova, nel corso di un convegno della Liga Veneta-Lega Nord, il Senatur si è abbandonato ad un gestaccio di origine anglosassone (il famoso dito medio alzato) per commentare un passo dell’Inno di Mameli. “Non dobbiamo più essere schiavi di Roma – ha tuonato Bossi - l’Inno dice che ‘l’Italia è schiava di Roma, toh! dico io” ed arriva il vaffa gestuale. Peccato che Bossi oltre ad essere maleducato è anche ignorante, visto che schiava di Roma nell’inno nazionale è la vittoria e non l’Italia. Un gesto inconsulto di persona temporaneamente incapace di intendere e di volere? Non ci sembra, visto che lo stesso Bossi, poco prima si era esibito nel suo discorso in passaggi politicamente significativi, ancorché discutibili. Come quando ha di fatto concesso un’apertura di credito al Pd: la ricerca di un’evidente sponda per affrettare il federalismo, magari in cambio di qualche ostacolo sulla riforma della giustizia, anche se ha ribadito “fedeltà” alla coalizione. Del resto già un’altra volta la Lega tradì l’alleanza elettorale per un vergognoso ribaltone. Ieri Bossi ha cercato di correggere il tiro. Ma senza scusarsi per quel che ha fatto. “A me l’Inno di Mameli non è mai piaciuto – ha detto il leader del Carroccio - fin dai tempi della scuola, preferisco la canzone del Piave... quella che fa ‘Il Piave mormorava calmo e placido…’. Quella è una canzone di popolo, è più vicina alla Marsigliese” Sì, forse ha ragione. La canzone del Piave ha certamente una tradizione popolare più consolidata rispetto allo sconosciuto, fino al secondo dopoguerra, inno di Mameli e forse è anche musicalmente migliore, ma questo non è sufficiente per offendere il simbolo della nostra nazione. Qualcuno spieghi bene al ministro della repubblica che la Padania non esiste, è solo una fantasia notturna di chi la sera ha mangiato pesante; che il tricolore è il simbolo della patria e non il sole delle Alpi, che può al massimo essere la bandiera del suo partito; che il Po è un fiume italiano ed italiano è tutto il territorio delle sue sponde, dal Monviso al mare Adriatico. Insomma Bossi non ci fa più ridere. E non ci divertono nemmeno né i politici di centrodestra che cercano di giustificarlo per motivi di bottega né quelli di centrosinistra che da sempre rinnegano la patria con il loro atteggiamento ma che ora si ergono a paladini di essa. L’Italia siamo noi italiani e siamo stanchi di vederci offendere sia dai cretini sia dagli ipocriti.
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