Si apre oggi a Lima la riunione dei ministri degli Esteri nell’ambito del V Vertice fra America Latina, Caraibi ed Unione europea, primo appuntamento di rilievo cui seguirà domani la giornata chiave dedicata all’incontro tra i 45 capi di Stato e di governo del consesso sudamericano-europeo. L’interpretazione possibile di questa due giorni non lascia spazio a molti entusiasmi, con un’Europa giunta al tavolo peruviano che sembra avere l’unico obbiettivo di piazzare tasselli decisivi nel mercato del continente latinoamericano. Come largamente anticipato dalla stampa internazionale, i temi di facciata godono di un ampio consenso mediatico. Si parla di sviluppo sostenibile come di allarme ambientale, ma la sostanza, ai tavoli dei negoziati, sembra essere più che mai orientata verso quali spazi commerciali e di investimento i Paesi latinoamericani e caraibici siano disposti a concedere alle imprese d’oltreoceano. Una fiera neoliberista in cui hanno ed avranno più peso gli interessi delle multinazionali che problematiche di sviluppo ed integrazione. Non a caso l’attenzione di ieri e di oggi è concentrata sulle mini-conferenze regionali che vedono seduti al tavolo delle trattative da una parte l’Ue e dall’altra, di volta in volta, la Comunità andina (CAN) piuttosto che il Mercato comune del sud (MERCOSUR). Non a caso, il vertice è ospitato da un Perú che viaggia a gonfie vele nelle acque (torbide) del neoliberismo di marca statunitense. Il Paese è guidato da Alan García (foto), uomo che ha abbracciato il verbo del libero mercato e che ha imposto al paese un Tlc con gli Stati Uniti che sta già dando i suoi primi frutti in materia di precariato, crollo delle esportazioni ed abbattimento del sistema sociale. Il tutto condito da una serie di scioperi che da un anno coinvolgono intere categorie “liberalizzate” con una paralisi ormai costante delle aree a più alta densità, Lima per prima. Non sorprende che siano proprio governi come quello peruviano, colombiano e messicano a rappresentare oggi per l’Unione europea il migliore degli interlocutori sudamericani. Non stupisce perché sono questi i Paesi avamposto delle politiche filo atlantiche dove la parola di Washington ha un certo peso e dove le istituzioni viaggiano esclusivamente sui binari del neoliberismo. D’altronde l’obbiettivo della concertazione tra le due regioni continentali è quello di rafforzare, e in certi casi avviare, alleanze strategiche sul piano esclusivamente economico in risposta ai crescenti interessi commerciali delle economie cosiddette emergenti, prima fra tutte quella cinese. Ma è anche un vertice che mette a nudo il paradosso di due soggetti di cui soltanto uno, l’Ue, è formalmente espressione di una certa unità (magari solo bancaria ed al servizio dello zio Sam). L’altro soggetto è variegato tanto politicamente (spaccato in due da una divisione che può ben definirsi ideologica, da una parte l’adozione del verbo mercantilista, dall’altra la Rivoluzione bolivariana) quanto geograficamente (il Messico in Nord America, l’America centrale, quella meridionale, quella insulare caraibica). Viene da chiedersi a quale di queste Americhe si vorrebbero rivolgere i Ventisette. E viene soprattutto da chiedersi se l’Unione europea, così appiattita sui dettami del WTO, sia in grado di capire che le realtà affini, ovvero pienamente confluite nel mare magnum del neoliberismo, sono ormai in stretta minoranza. Che nel multi variegato panorama latinoamericano il movimentiamo di marca bolivariana ha finalmente preso il sopravvento costringendo gli stessi Stati Uniti a rivedere non solamente le loro strategie di mercato (minate da un legittimo ritorno alla sovranità nazionale) ma anche quelle militari, tanto da “costringere” il Pentagono a riattivare entro fine giugno al famigerata Quarta flotta. Tra l’arrivo di sottosegretari, delegazioni presidenziali e imprenditori europei, l’agenda degli incontri sembra proprio non tenere conto di queste diversità. Va così da sé che già alla vigilia dei primi appuntamenti era chiaro che i negoziati tra Ue e America centrale sarebbero stati i meno difficili, con molti dei Paesi in questione già colonizzati. Molto più complicate, invece, le trattative con la CAN e con il MERCOSUR, i cui principali protagonisti sono ormai orientati verso modelli economici, sociali e politici decisamente alternativi. Da Bruxelles credevano che sarebbe stata una passeggiata: arrivare a Lima e strappare ad Ecuador, Bolivia, Nicaragua, Venezuela, Argentina, Brasile trattati su trattati, sino a giungere alla creazione di “aree di libero scambio”. Ci aveva già provato il signor Bush tre anni fa, calando con tutto l’apparato di multinazionali a stelle e strisce nell’ex “cortile di casa” per imporre l’estensione del NAFTA a tutto il continente. Per poi ritornarsene alla Casa Bianca registrando un fallimento completo e la nascita dell’ALBA, l’Alternativa bolivariana per i poli d’America. Con questi presupposti, il V Vertice ALC-UE appare in tutta la sua inconsistenza: le risposte da dare, per uno “sviluppo sostenibile”, una reale “inclusione sociale” ed una reale attenzione ai “cambiamenti climatici” non possono e non devono essere cercate nel cilindro (ormai bucato) del neoliberismo. Ma possono e devono essere cercate in una nuova attenzione ai fenomeni di rinascita che stanno caratterizzando la realtà sudamericana. Una realtà che per convinzione, per sperimentazione, per risultati, esclude a priori l’impostazione dettata da Washington.
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