L’armistizio del settembre 1943, causò una caotica situazione finanziaria su tutto il territorio nazionale. Le truppe straniere inondarono il Paese con la loro moneta d’occupazione priva di valore nelle rispettive zone operative; così al Nord (per breve tempo) si ebbe il marco d’occupazione, mentre al Sud furono introdotte le “am-lire” che continuarono ad essere usate anche dopo la fine del conflitto. Al Nord, con gli ordinamenti del Nuovo Stato Fascista Repubblicano, nato con la Repubblica Sociale Italiana, il Duce, quale capo del governo nominava i nuovi ministri e sottosegretari assumendo direttamente la carica di ministro degli Esteri. Al Sud, la compagine sabaudo-badogliana era ostaggio dei comandi militari anglo-americani che non tenevano il alcuna considerazione quei personaggi e si formò così uno stato fantoccio privo di ogni autorità. La Rsi definita dagli americani ironicamente Repubblica di Salò, a Salò non aveva nessun ministero, i ministeri erano dislocati a Verona, Brescia, Fasano ed altre località limitrofe. La Repubblica sociale italiana aveva una struttura normale di stato giuridico. Il 27 settembre 1943 si tenne il primo Consiglio dei ministri alla Rocca delle Camminate, residenza estiva e privata di Mussolini; in quella riunione il prof. Pellegrini Giampiero già nominato ministro delle Finanze della Rsi, fissava i punti programmatici del nuovo Stato. 1) Ripresa ed intensificazione dell’attività finanziaria dello Stato. 2) Strenua difesa del potere d’acquisto della lira e drastica riduzione delle spese. 3) Esclusivo controllo della circolazione monetaria. 4) Intransigente tutela degli interessi economici e finanziari dell’Italia in tutti i settori con ogni mezzo a disposizione contro chicchessia anche con l’uso della Guardia di finanza e della Polizia tributaria al servizio del ministero delle Finanze, senza ingerenze altrui. A seguito della firma dell’armistizio, il maresciallo Badoglio, con la sua affermazione: “la guerra continua a fianco del nostro alleato” e con la richiesta fatta ai tedeschi di unità militari per fronteggiare il comune nemico, i tedeschi inviarono i Italia sei divisioni corazzate, ma richiesero un contributo finanziario mai richiesto prima al governo fascista, di trentun milioni di lire, parzialmente liquidato con 5.613 Kg di oro fino. La Banca d’Italia disponeva a quel momento di valuta pregiata per un controvalore di oltre un miliardo di lire. Nel periodo della dissoluzione di ogni potere centrale, istituzionale, politico e militare, conseguente alla determinazione dell’alleato naturale tradito dall’atto badogliano che cercò di imporre la sua legge; l’allora governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Assolini, dovette affrontare da solo la nuova situazione che si era determinata. Il 20 settembre il governatore Assolini ricevette la richiesta ufficiale dal direttore della Reichsbank, dr Massimiliano Benuhuber, richiesta accompagnata da due ufficiali superiori e da un interprete militare, di provvedere immediatamente, senza alcuna riserva, al trasferimento della riserva aurea e della valuta pregiata alla sede della Banca d’Italia a Milano. Durante la trattativa furono sempre osservate forme di generale correttezza e non furono mai proferite minacce o forme di violenza; è una falsa affermazione quella sostenuta da alcune fonti secondo le quali l’addetto della polizia politica presso l’Ambasciata di Germania si sarebbe impossessato a mano armata della riserva aurea dello Stato Italiano, è una delle tante fanfaronate raccontate dalla propaganda resistenziale. Il trasporto di tutta la riserva aurea italiana avvenne tra il 22 e il 28 settembre a mezzo ferrovia, e con la scorta del personale della Banca d’Italia e del personale tedesco armato. Il 13 dicembre, il ministro Pellegrini sollecitava il governatore della Banca d’Italia Assolini a non impedire o frapporre ostacoli al trasferimento dell’oro italiano a Fortezza (Bolzano) sotto il controllo della Banca d’Italia di quella sede. Era ferma intenzione dei tedeschi di portare l’intera riserva aurea italiana in Germania per impossessarsene definitivamente, ma fu una previsione interamente sbagliata. Grazie all’intervento del governo italiano, del ministro Pellegrini, la riserva aurea italiana venne salvata con il suo trasferimento alla sede della Banca d’Italia a Fortezza, dove rimase per tutta la durata del conflitto e dove venne recuperata intatta dal nuovo governo post-fascista come attestava nel 1948 Luigi Einaudi, allora governatore della Banca d’Italia nella sua relazione annuale. “L’oro temporaneamente trasferito a Fortezza, è stato restituito al governo italiano e nessuna variazione si è pertanto verificata nelle riserve auree.” I tedeschi avevano considerato preda bellica, per il tradimento italiano, il nostro oro consistete in circa 2.500 Kg di fino, e allora non si poteva nulla in quanto con l’armistizio le armate tedesche avevano sostituito quelle italiane e ne avevano ereditato l’autorità. Fu solo per la determinazione del Governo della Rsi ed i particolare del ministro delle Finanze Pellegrini che la nostra riserva aurea non venne trasferita in Germania. Infatti, il nuovo governo rientrò in possesso di tutta la riserva, dopo la firma di un relativo Protocollo, dopo trattative tra l’ambasciatore tedesco Rahn a nome del suo governo ed il ministro delle Finanze Pellegrini a nove del governo della Rsi La storia non si limita però a questo intervento! Le riserve di oro e platino dell’Azienda mineraria metalli italiani (Ammi), furono messe al sicuro nella sede del Banco di Napoli a Milano, dal dott. Franz Lo Jucco, coraggioso collaboratore del Pellegrini che si espose a gravi rischi occultando il tesoro ai tedeschi e dopo il 2 aprile 19455 venne riconsegnato al governo partigiano italiano che lo condannò a 11 anni di reclusione per collaborazionismo e per aver salvato una ricchezza italiana. Nell’ottobre 1943, il ministro Pellegrini, con la sua determinazione, riuscì a recuperare valuta estera dal consolato generale d’Italia a Nizza confiscati dai tedeschi 5.000 sterline e 5.000 dollari statunitensi. Inoltre ottenne dalla Germania la rimessa di 3 miliardi di lire per merce prelevata dai tedeschi durante il caos generato dall’armistizio badoglianio e dalla conseguente carenza di ogni autorità. Ma, l’opera più meritoria del Pellegrini e dell’intervento del governo della Rsi nei confronti dell’alleato tedesco, fu l’espulsione dei marchi d’occupazione da tutto il territorio nazionale. Non bisogna dimenticare che mentre con il governo fantoccio del Sud, l’invasione delle am-lire creava inflazione e miseria, il governo del Nord riusciva a ristabilire il corso della moneta nazionale anche nei territori sottoposti al rigido controllo della Wehrmacht per motivi militari nelle regioni della Venezia Giulia e Venezia Tridentina. L’accordo firmato a Fasano, relativo al protocollo da nazione a nazione, dall’ambasciatore Rudolf Rahn per la Germania e dal Prof. Giampiero Pellegrini per la Rsi, che era appositamente delegato dal capo dello Stato, per l’espulsione dei marchi d’occupazione. Tale atto rivestiva una indubbia portata politica perchè riaffermava la sovranità statale nella Rsi nel settore monetario e ne confermava un assoluto controllo nella circolazione e nei flussi monetari, cosa impossibile al Sud dominato dai cosiddetti alleati anglo-americani. Il controllo sulla circolazione monetaria significava inoltre che in ministero delle Finanze poteva compilare i bilanci dello stato; veniva ristabilita la tranquillità sia delle aziende di credito che dei depositanti per la tutela dei loro risparmi. Il provvedimento ebbe un enorme ripercussione non solo sul territorio nazionale a i campo internazionale, dimostrando che il governo della Rsi disponeva della propria autonomia ed autorità legislativa. I titoli di stato, che dopo l’8 settembre 1943 erano scesi sotto il 30% del loro valore nominale, riacquistarono e superarono la parità. Il governo della Repubblica sociale italiana si trovò impegnato a versare un contributo di guerra alla Germania di 7 miliardi mensili a seguito dell’impegno sottoscritto dalla felloneria del governo Badoglio. Fu infatti dopo il 2 luglio 1943 che il governo tedesco pretese un contributo finanziario di guerra mai richiesto fino allora al precedente governo fascista. Il contributo mensile veniva giustificato dal mantenimento delle divisioni germaniche dislocate sul fronte italiano su richiesta di Badoglio, contributo che era stato determinato da una Commissione mista italo-tedesca, dunque un’altra delle eredità badogliane. Si sciolgono quindi come neve al sole le leggende resistenziali giornalistiche e televisive sulla Rsi e sui suoi uomini di governo che Pertini ebbe l’arroganza di definirli “una associazione a delinquere”. Bisogna esaminare attentamente i governi e la politica contemporanea italiana per poter definire i modo serio l’Italia moderna.
|