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Economia
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Napolitano: l'Ue non deve abbandonarsi al protezionismo

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Domenica 30 Marzo 2008 – 14:10 – Diana Pugliese stampa
Napolitano: l'Ue non deve abbandonarsi al protezionismo

Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, è entrato nel dibattito più importante della campagna elettorale. Quello sul protezionismo e la globalizzazione, riportato all’attenzione dell’opinione pubblica dal vicepresidente di Fi Giulio Tremonti. Durante la sua visita all’impianto siderurgico della Danieli, a Buttrio (Udine), il capo dello Stato ha dichiarato che “c’è la necessità di una comune coscienza europea perché non ci sarebbe errore più grave da parte dell’Europa rispetto a un mondo che è cambiato, che abbandonarsi a velleitarie quanto fatali tentazioni di protezionismo”. Per Napolitano, l’Europa opera ormai “in un campo aperto” e deve quindi prendere atto e rassegnarsi alla perdita di peso su scala mondiale.
Dimentico di quegli antichi principi comunisti che lo hanno ispirato per tanti anni, nel rispondere alle preoccupazioni espresse dal presidente dell’industria, Giampietro Benedetti, rispetto ad un futuro in cui la sfida della competitività rischia di diventare sempre di più una questione di sopravvivenza, il presidente si è detto convinto che anche in questa realtà è “possibile” unire due termini “in contrasto tra loro”: preoccupazione e fiducia.
Le sfide che attendono le imprese nel mercato globale, ha detto Napoletano, sono e saranno ancora più difficili in futuro, ma “guai a fare della preoccupazione un motivo di sfiducia o perdita della speranza”. Nel nostro Paese, secondo il capo dello Stato, molti italiani anche tra le classi dirigenti e in quella politica non sono “sufficientemente consapevoli e convinti della ricchezza delle risorse” di cui l’Italia dispone e pertanto “non si fanno carico dei problemi che è indispensabile affrontare” per mettere “a frutto” queste risorse anche in un futuro “diverso” dall’attuale. Una tesi, a ben veder, condivisibile solo in un’ottica diversa da quella proposta dal presidente: secondo il ‘politico’ Napoletano, infatti, la nostra classe dirigente, imprenditoriale e politica, dovrebbe impegnarsi in una sfida che di fatto rischia di essere persa in partenza, in quanto mette sullo stesso piano in concorrenza tra loro realtà economico-produttive e sistemi di welfare e lavoro incomparabili. Uno scontro che non può che concludersi con la disgregazione di quello europeo, più garantista ma meno ‘aggressivo’.
Quello di cui la classe dirigente italiano non abbastanza consapevole, invece, è piuttosto l’importanza di “proteggere” il sistema produttivo, dalla concorrenza sleale e da un meccanismo, quello della globalizzazione, che come ha sottolineato Tremonti non persegue affatto il benessere generale ma quello della nuova finanza nata dal nuovo sistema di scambi.
Da questo punto di vista, come ha sottolineato ieri ad Ancona l’esponente del Pdl intervenendo ad un incontro con i giovani industriali di Confindustria Marche, il problema principale è che “la moneta europea non è governata politicamente” non esistendo una “Repubblica europea”.
Abbiamo la moneta, ha sottolineato Tremonti, “ma non abbiamo una struttura politica” e “la Banca centrale europea deve solo tenere conto dei segni d’inflazione”. “Il debito pubblico europeo - ha spiegato - sarebbe un modo per capitalizzare l’enorme forza dell’euro” ma l’Ue, pur avendo questa “gallina dalle uova d’oro”, non la utilizza “per raccogliere capitali dal mondo” e investirli.
Nel rapporto euro-dollaro, ha giustamente evidenziato l’economista, attualmente “non è l’euro ad essere forte ma il dollaro ad essere debole”, anche grazie alla politica imperiale degli Usa, che a differenza dell’Europa, hanno usato la moneta come riserva internazionale.

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