Il fronte della guerra afghana si estende sempre più al Pakistan. La situazione di Kabul, invasa nel 2001 da truppe statunitensi e della Nato, dopo quasi otto anni non ha avuto sensibili miglioramenti, nonostante venga spacciata come un risultato positivo l’ascesa, sarebbe meglio dire il piazzamento, al potere di Hamid Karzai, niente altro che un presidente-fantoccio alle dipendenze degli Usa. Prima di tornare in Afghanistan, da esule, Karzai era consulente della compagnia petrolifera statunitense Unocal, che al principio del 2002 (pochi mesi dopo l’11 settembre) vinse l’appalto per la costruzione di un oleodotto che passerà in Afghanistan e Pakistan per trasportare petrolio dal Mar Caspio e dall’Asia centrale fino all’Oceano indiano. Dal 2004, e non sembra un caso, guida il Paese, ma con un seguito esiguo tra la popolazione, che lo definisce, non a caso, “sindaco di Kabul”, sottolineando in questo modo l’assoluta mancanza di autorità, da parte del governo centrale imposto dagli Usa, sul resto del Paese. La ribellione al governo afghano-fantoccio e ai suoi manovratori statunitensi prende di volta in volta il nome di talibani e/o di al Qaida. Una guerriglia senza tregua che si sta estendendo anche al Pakistan, alleato di Washington fin dai tempi di Musharraf e anche ora, dopo la caduta in disgrazia del generale, sotto la guida del vedovo di Benazir Buttho amico fedele della Casa Bianca. Se ne è reso conto il Pentagono, che in un memorandum classificato il cui contenuto è stato diffuso ieri dal sito “The Politico” suggerisce alla nuova amministrazione Usa di concentrarsi più che sulla ricostruzione e il rafforzamento politico del governo di Kabul, sulla lotta ai ribelli direttamente nei loro santuari, cioè nelle aree tribali del vicino Pakistan. Una parte dell’approccio suggerito dal memorandum segreto auspica di forme di collaborazione più intense ed efficaci con il governo pachistano e pare non preveda un’intensificazione dell’attuale attività militare nordamericana in Pakistan, dove già da mesi (grazie ad un accordo segreto sottoscritto con Islamabad) operano i droni armati di razzi che continuano a massacrare civili innocenti. Uccisioni di volta in volta condannate dal governo del Pakistan, che però evita accuratamente di rendere edotta la popolazione locale del trattato sottoscritto con gli Usa. I 30.000 soldati statunitensi in più che la Casa Bianca intende mandare in Afghanistan dovrebbero quindi porre rimedio ad una situazione che non si è mai stabilizzata in otto anni di guerra continua e che sta coinvolgendo anche i Paesi confinanti. Anche Barack Obama pare si sia reso conto che la situazione nel Paese “sta peggiorando, non migliorando”, ma le opzioni sul tavolo non prevedono chiaramente quella dell’uscita dall’Afghanistan. Da buon democratico Obama parla “di una strategia organica che l’affronti non solo dal lato militare, ma anche da quello diplomatico”, e intanto prevede un sostanzioso incremento di truppe, come se la militarizzazione del Paese non si fosse già rivelata fallimentare. A rilevare il fatto che il fronte della ribellione si allargato al vicino Pakistan è stato anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che, non a caso, ieri ha fatto due visite-lampo a sorpresa: prima a Kabul e subito dopo ad Islamabad. A Kabul, Ban Ki Moon ha promesso che l’Afghanistan sarà una “priorità” delle Nazioni Unite nel 2009, in particolare per l’organizzazione delle elezioni presidenziali in programma il 20 agosto prossimo. Consultazioni che dovranno svolgersi in un Paese devastato da 30 anni di guerra pressoché ininterrotti e oggi anche afflitto da una grave siccità. Questo prima di recarsi in Pakistan, dove ha discusso con il capo di Stato pachistano, Asif Ali Zardari, soprattutto della situazione del “terrorismo” nel nord ovest del Paese, dove, proprio ieri, i talibani hanno catturato 30 poliziotti. Nella valle di Swat, al confine con l’Afghanistan, i poliziotti pachistani sono stati fatti prigionieri al termine di una battaglia lunga 24 ore e poi rilasciati con la promessa che avrebbero lasciato le forze di sicurezza e rinunciato a combattere contri i ribelli. Qualche ora prima, nei pressi di Peshawar, i talibani avevano incendiato e distrutto otto container della NATO destinati alle truppe di stanza in Afghanistan, dopo che il giorno precedente avevano fatto saltare in aria un ponte di collegamento con il Paese vicino dal quale passano i convogli di rifornimento per te truppe dell’Alleanza atlantica. Dimostrazioni di forza che la dicono lunga sulla possibilità di riuscita delle forze “alleate” in Afghanistan, anche con il sostanzioso incremento già previsto da Bush e confermato da Barack Obama.
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