La scure ultraliberista degli eurocrati di Bruxelles torna ad abbattersi contro l’Italia. Un comunicato diffuso ieri dall’Unione europea ha infatti informato che Roma sarebbe a rischio di nuove sanzioni; oggetto del contendere il mancato adeguamento alla sentenza già emesse dalla Corte dell’Unione con la quale si chiedeva di innalzare l’età pensionabile per le donne. Da precisare comunque che questo diktat riguardava il settore della pubblica amministrazione e mira ad equiparare l’età delle donne a quella degli uomini. Nel dettaglio al governo italiano è stata inviata una lettera formale sulla base della fase due della procedura d’infrazione. Se il nostro esecutivo non dovesse prendere le misure richieste, Bruxelles invierebbe un secondo e ultimo avvertimento prima di applicare le eventuali, ed a quel punto inevitabili, sanzioni. Dal Belgio hanno ricordato al BelPaese che già nello scorso autunno, per l’esattezza il 13 novembre, la Corte di giustizia europea si era pronunciata contro l’Italia poiché, in base alle leggi nostrane, i funzionari pubblici hanno diritto a ricevere la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda se siano uomini o donne, e cioè 65 per i primi e 60 per le seconde. In quel disposto la corte aveva affermato che tale regime è non solo discriminatorio ma soprattutto contrario all’articolo 141 del trattato Ue sul principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile. La Commissione aveva anche già avviato una prima procedura contro l’Italia nel febbraio 2007, quella aperta ieri è un’azione legale volta all’attuazione della sentenza dei giudici del Lussemburgo secondo l’articolo 228 del trattato Ue. Il rischio per il nostro Paese, qualora non adempisse in tempi rapidi a questi pronunciamenti, è quello di forti pene pecuniarie. La parità retributiva per le donne e gli uomini “è un principio di base dell’Ue”, ha commentato il commissario agli Affari sociali Vladimir Spidla. Il pericolo di ulteriori sanzioni sembra però poter essere scongiurato prestissimo visto che il ministro Renato Brunetta ha prontamente annunciato che una soluzione per recepire i dettami di Bruxelles potrebbe già essere individuata nell’odierno Consiglio dei ministri; il ministro ha anche assicurato che ci sarà anche un passaggio che coinvolga le parti sociali. Tra le ipotesi al vaglio, sempre stando alle parole del titolare della Funzione pubblica quella di realizzare questo innalzamento in modo graduale, magari spalmandolo in dieci anni, “un anno ogni ventiquattro mesi. Quanto risparmiato sarà impiegato nel Welfare familiare. Ne ho parlato con numerosi ministri e ho trovato molte convergenze”. In particolare il ministro ha chiarito che per Stato sociale famigliare intende soprattutto gli asili nido. Il titolare del dicastero di corso Vittorio Emanuele ha comunque voluto precisare che si tratta di un impianto base che sarà analizzato con attenzione perché “sono cose importanti come è importante stabilire la destinazione delle risorse, si tratta anche di vedere come questo adempimento alla Corte di giustizia europea si collocherà in un quadro complessivo di riforma del welfare”. Sostegno alle misure che prenderà l’esecutivo arrivano anche dal dicastero delle Pari opportunità, Mara Carfagna, che ha affermato: “Equipariamo subito l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini, e destiniamo l’intera somma alla donne stesse, per finanziare iniziative a favore delle lavoratrici e delle famiglie”. Secondo la Carfagna è meglio intervenire subito e sfruttare il conseguente risparmio piuttosto che pagare multe salate alla Ue, stimando in oltre due miliardi il tesoretto derivante da una simile misura. Per le donne quindi si allontana il momento di andare in pensione, anche se stando a quanto appreso il piano d’azione sarebbe molto graduale; la speranza è che venga dato seguito alla promessa di utilizzare il conseguente risparmio per rilanciare uno Stato sociale sempre più deficitario. |