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Obama Cunctator

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Mercoledì 12 Agosto 2009 – 9:56 – u.g. stampa
Obama Cunctator

Il presidente russo Dmitri A. Medvedev ha annunciato che Mosca non invierà, per il momento, un suo ambasciatore in Ucraina “a causa delle posizioni antirusse sostenute dalla dirigenza di Kiev”.
La dichiarazione di Medvedev non è giunta inattesa per il governo ucraino: se il ministro degli esteri in carica, Volodymyr Khandogiy, ha diplomaticamente espresso il suo “disappunto” per la decisione russa, il presidente-arancione ucraino Viktor Yushenko ha definito addirittura “impossibili normali relazioni” tra i due Paesi russofoni.
E’ un fatto tuttavia che la leadership del presidente filo-occidentale dell’Ucraina appaia oggi estremamente debole. Tra lo stesso elettorato ucraino che nel 2005 aveva votato per lui e aveva permesso la sua vittoria sul candidato rivale Viktor Yanukovic, filorusso, è ormai maggioritaria la critica verso la politica filo-occidentale di Kiev, volta a trasformare l’Ucraina in una colonia liberal-liberista atlantica e in un dispositivo Nato anti-russo. Una strategia, suicida (l’Ucraina dipende all’80 per cento dalle forniture di energia russe e dall’export verso Mosca - ormai sotto embargo - di prodotti alimentari) quella di Yushenko, aggravata dall’appoggio diretto concesso al regime autoritario del georgiano Mikhhail Saakashvili con la vendita di armamenti usati nell’attacco dell’agosto 2008 alla provincia filorussa dell’Ossetia del sud.
Lo stesso Medvedev, nella lettera di rinuncia all’invio di un ambasciatore a Kiev, ha ricordato l’inequivoco supporto di Ucraina, Israele e Usa al presidente-dittatore georgiano e come “gli armamenti ucraini siano serviti ad uccidere pacifici civili e soldati delle forze di pace russe”.
Il presidente russo si è anche augurato che una “nuova dirigenza ucraina possa al più presto riallacciare le storiche relazioni amichevoli tra i due Paesi”: un diretto riferimento al declino della popolarità di Yushenko e al tempo stesso un viatico in favore di Viktor Yanukovic, il candidato-presidente dell’Ucraina sconfitto nel 2005 ma che oggi appare in tutti i sondaggi favorito nella rivincita elettorale già programmata per il prossimo 17 gennaio.
E’ evidente che il gelo tra Mosca e Kiev è propiziato anche da un certo rallentamento nell’assedio atlantico alle Russie. La crisi economica internazionale partorita da Wall Street e dalla City non si è ancora “rimarginata” e gli Stati Uniti, già presenti in due cruenti fronti di guerra - Iraq e Afghanistan - e decisi a fare ritorno nel cortile di casa latino-americano (nuove basi in Colombia, golpe in Honduras), non possono per il momento permettersi un conflitto, nemmeno diplomatico, con il Cremlino.
Non che il programma di assedio a Mosca ed alle sue materie prime sia stato archiviato: la dottrina Brzezinsky che da un ventennio pianifica un’offensiva strategica atlantica nello scacchiere euroasiatico resta prioritaria.
Nel palazzo di Obama si è soltanto scelto di temporeggiare, risolvendo i problemi egemonici “minori” prima di affrontare lo scontro decisivo.
Il governo unico di un mondo globalizzato e retto dal pensiero unico neoliberista resta il fine ultimo da realizzare perché iscritto nel codice genetico della società statunitense.
L’importante è contare su sicuri e fedeli servizi dei propri governi coloniali europei, Italy inclusa.

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