Il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) Josè Miguel Insulza ha confermato ieri la volontà dell’organismo sovranazionale di inviare una missione in Honduras, per incontrarsi con i rappresentanti del governo golpista guidato da Roberto Micheletti e cercare una soluzione concordata che permetta il ritorno alla normalità nel Paese centroamericano. Nei giorni scorsi, l’esecutivo golpista aveva tenuto un atteggiamento altalenante nei confronti della missione proposta da Insulza, soprattutto riguardo alla sua personale partecipazione. Un atteggiamento dovuto alle dure critiche rivolte dal politico cileno al governo arrivato al potere con un colpo di Stato militare. Alla fine la presenza di Insulza è stata accettata solo in qualità di “osservatore”, perché accusato dai golpisti di “mancanza di imparzialità”. Atteggiamento ostruzionista che ha portato Miguel Insulza a rinviare più volte la missione, che però potrebbe concretizzarsi la prossima settimana; ne dovrebbero far parte i ministri degli Esteri di Argentina, Messico, Canada, Costa Rica, Repubblica Dominicana e Giamaica. Si dovrebbe discutere degli undici punti proposti nell’Accordo di San Josè dal mediatore costaricano Oscar Arias. Una bozza d’intesa che prevede, come punto imprescindibile, il rientro in patria di Zelaya perché possa concludere il mandato per il quale era stato democraticamente eletto. I rappresentanti dell’Osa dovrebbero comunque arrivare in Honduras dopo la fine della visita della Commissione interamericana per i Diritti umani, che dovrebbe arrivare a Tegucigalpa il prossimo lunedì. Insulza ha inoltre anticipato che l’Osa potrebbe valutare il varo di nuove sanzioni nei confronti del governo Micheletti da sommare alla sospensione dall’organizzazione decisa il 4 luglio scorso come immediata risposta al colpo di Stato. “Ci sono persone - ha affermato poi Insulza- che credono che resistendo la vita tornerà normale”, una frase chiaramente riferita all’atteggiamento dei golpisti, che dal giorno del colpo di mano nonostante il biasimo internazionale, il blocco degli aiuti e dei crediti, il ritiro di numerosi ambasciatori, non hanno fatto un passo indietro né riconsiderato il loro gesto e sembrano intenzionati ad arrivare indenni a nuove elezioni politiche. Un atteggiamento arrogante, che si disinteressa completamente della mobilitazione popolare dei tantissimi honduregni che dal 28 giugno non hanno mai cessato di manifestare contro il colpo di Stato e per il rientro in patria di Manuel Zelaya. Questa settimana oltre diecimila persone, che speravano di poter accogliere l’arrivo dei delegati dell’Osa, hanno manifestato a Tegucigalpa e a San Pedro Sula. Un incontro che è stato il culmine di lunga una marcia di 105 chilometri durata sette giorni. I manifestanti si sono radunati nella capitale con l’intento di raggiungere il palazzo presidenziale, ma le vie di accesso sono state bloccate da pattuglie di militari, per cui il corteo è stato deviato verso il parco centrale della capitale honduregna. I dirigenti del “Frente nacional de resistencia contra el golpe de Estado” hanno denunciato in una nota “le tattiche dilatorie del governo golpista” rispetto al ristabilimento dell’ordine costituzionale in Honduras, annunciando ulteriori “azioni di resistenza nazionale” e non escludendo di boicottare le elezioni politiche previste per il prossimo 29 novembre, così da farle considerare illegittime. La risposta del governo di Micheletti è stata in linea con la sfrontatezza già mostrata in precedenza: è stato reintrodotto il coprifuoco notturno e sono stati spiccati tre mandati di cattura internazionale per altrettanti funzionari del governo di Zelaya. |