È davvero una rivoluzione l’introduzione dell’Iva di cassa, già prevista nel programma elettorale del centrodestra. Tra le misure che il governo si accinge ad approvare per sostenere l’economia, infatti, c’è anche lo slittamento del pagamento dell’Iva da parte degli operatori dalla data di emissione della fattura a quella di effettiva riscossione del credito. Richiesta da anni dalle imprese, la misura non è - come qualcuno potrebbe pensare - un capriccio del sistema imprenditoriale, a ben vedere agevolato spesso e volentieri da ben altre meno apprezzabili misure di sostegno. Il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto dopo l’incasso rappresenta infatti un provvedimento giusto ma soprattutto indispensabile in un momento così difficile dell’economia. “Il versamento Iva all’incasso darà ossigeno alle imprese e combatterà il malcostume nei ritardi pagamento”, ha commentato giovedì il Presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini, per il quale il provvedimento non solo “indispensabile” ma, appunto, una boccata d’ossigeno “in un momento di grave crisi di liquidità”. Attualmente, il versamento dell’imposta è legato all’emissione del documento contabile e non tiene conto dell’effettivo incasso della fattura stessa. In sostanza, imprese e liberi professionisti a partita Iva sono costretti ad anticiparne il pagamento, pari solitamente al 20% della fattura, anche se non hanno incassato il relativo importo da parte del committente. Il problema più serio è che, tale sistema dà per scontato che il debitore saldi la fattura entro il tempo previsto dal documento, solitamente tre mesi ma si può arrivare anche a sei per i committenti “più difficili”, senza tener conto del rischio solvibilità della controparte. Il pagamento dell’Iva, in pratica, avviene relativamente presto mentre l’incasso può avvenire anche diverso tempo dopo o addirittura affatto. “Con questo intervento, verrà evitato l’esborso anticipato di somme prima che si siano verificati i correlativi flussi finanziari”, ha sottolineato Guerrini. L’innovazione prevista dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, inverte in sostanza l’attuale logica: l’imposta non è dovuta finché non è stato incassato il corrispettivo. Il meccanismo, seppur in forma assai limitata, esiste già: una deroga è prevista ad esempio per i rapporti con gli Enti pubblici, notoriamente molto lenti nel pagare i fornitori e che per prassi non pagano prima di sei mesi. Chi fornisce prestazioni alle Amministrazioni pubbliche, dunque, può contare su una “sospensione” del versamento Iva fino alla data di saldo della fattura. La misura appare ancora più importante se si considera che, in questo periodo così difficile dell’economia globale e nazionale, recessione e soprattutto scarsa liquidità stanno causando un fenomeno particolarmente grave: la tendenza da parte delle imprese a procrastinare i pagamenti il più possibile. Secondo il presidente dell’associazione degli artigiani, ad esempio, “in Italia i tempi medi di pagamento tra le imprese arrivano a 88 giorni, contro la media Ue di 55 giorni”. Ma non è tutto. Mentre fino all’anno scorso su dieci fatture emesse, in media, cinque venivano pagate entro i termini previsti dal documento contabile, negli ultimi mesi il fenomeno si è ulteriormente aggravato: oggi, a quanto pare, meno di cinque (spesso una o due) riescono ad essere incassate a tempo debito. Gravi le conseguenze: una catena di ritardi che rende scarsissima la liquidità che le imprese hanno a disposizione e costringe le aziende a cedere il credito alle banche. Queste, oltre a fare molte difficoltà a fornire denaro allo scoperto, si trattengono una percentuale significativa di ogni singola fattura per il servizio, diminuendo ulteriormente gli utili già limitati delle imprese. Per il presidente di Confartigianato, infine, il provvedimento “avrà un ulteriore effetto positivo: indurrà i committenti a pagare in tempi più brevi per poter detrarsi l’imposta versata ai fornitori. Si tratta - ha spiegato Guerrini - di uno strumento efficace contro il malcostume dei ritardi di pagamento tra imprese che penalizza soprattutto le aziende di piccole dimensioni che operano per conto terzi”. Per quanto condivisibile, però, la misura auspicata dalle imprese rischia di scontrarsi con la miopia degli euroburocrati: l’Ue prevede infatti poche deroghe al principio generale, limitate solo per casi particolari. Di conseguenza, per non incappare nella bocciatura dell’Unione europea, Tremonti dovrà individuare una formulazione compatibile, magari stabilendo un tetto per gli importi o indicando alcuni settori dove il provvedimento può essere applicato. Meglio ancora sarebbe, a ben vedere, fare una battaglia in sede comunitaria per far passare un principio non solo corretto da un punto di vista logico ma indispensabile alla luce degli anni difficili che ci attendono. E chissà che, messi con le spalle al muro dalla recessione, i tecnocrati di Bruxelles non decidano di accogliere la logica dell’inquilino di via XX settembre.
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