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Il grano e la zizzania. Matteo Rampin

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Venerdi 11 Settembre 2009 – 8:44 – Marco Managò stampa
Il grano e la zizzania. Matteo Rampin

L’autore, psichiatra, ha realizzato questo volume (edito da Ponte alle Grazie) al fine di riconsiderare l’enorme valore insito nelle parole e nel linguaggio, capaci di lanciare messaggi diversi e, soprattutto, di formulare nuove ipotesi e nuovi modi di vedere la realtà.
Afferma, appunto, Rampin: “Lo strumento per leggere e pensare diversamente la realtà è il linguaggio. Esso, infatti, non è semplicemente questione di parole. O meglio, si tratta di parole, ma i loro effetti sono talmente concreti da cambiare il comportamento, e perciò la realtà”.
Alcune volte queste parole, lette e formulate in maniera precisa, possono dare il là a nuove prefigurazioni della realtà nonché costituire un valido antidoto a costruzioni negative e patologiche che spesso fissiamo come indelebili e inalterabili.
L’autore, quindi, fornisce un valido prontuario dal quale scaturiscono nuove prospettive, nuove formulazioni lessicali, quasi energici aforismi a dettar slancio e fiducia in una sorta di Legge di Murphy al contrario, vista in positivo.
L’esempio più calzante offerto dall’autore è quello della ragazza ultratimida e passiva che, pur avendo studiato moltissimo, si fa vincere dall’emozione e all’esame fa cilecca e rifiuta il basso voto. Tale fattispecie è fornita come materiale di studio per dottori specializzandi in psicoterapia: si chiede loro una risposta valida e le parole da formulare alla ragazza. L’abitudine linguistica, alla quale siamo assuefatti, non offre la possibilità di cogliere la chiave della risposta nella semplice rilettura dell’evento. Pochi degli intervistati hanno sottolineato la forza e la personalità della ragazza: sì, la decisione sicura di rifiutare il voto e di aver fiducia in se stessa pronta a ripeterlo; in effetti, è lei che ha voluto il fallimento perché ha rifiutato il voto, per giunta dinanzi a una giuria autoritaria alla quale, evidentemente, vuol mostrare di che reale pasta sia fatta.
Scrive Rampin: “E come la ragazza, anche molti specializzandi in psicoterapia erano rimasti vincolati a una sola lettura dei fatti, non riuscendo a scorgere la lettura alternativa. I terapeuti, infatti, come chiunque altro, sono spesso legati alla lettura della realtà più immediata. Conviene imparare a svincolarsi dalle premesse che si danno per scontate, per evitare di credere che la nostra personale lettura della realtà sia la realtà”.
Mi ricollego, in parte, a noi adulti, al linguaggio di nostra abitudine, che si contrappone alla sorpresa di un bambino per la prima volta alle prese con un dato vocabolo: quando ci trova impreparati a dare una risposta precisa a termini che usiamo quotidianamente, senza conoscerli a fondo o ignorandone l’etimologia.
La “ristrutturazione” della realtà, attraverso un linguaggio diverso, non è solo un metodo utilizzato in psicoterapia che permette di riconsiderare ciò che ci circonda, è anche un mezzo, questa volta per subdoli scopi, utilizzato per la propaganda mediatica e politica, quando si edulcorano certi effetti deleteri o si dipinge come male assoluto un altro aspetto.
L’autore, nello specifico, affrontando le prime fobie dell’animo umano, quelle di vivere una vita senza senso, di non credere a niente, di aver paura del prossimo o di odiarlo, rivolta il concetto di fondo e l’angolatura dalla quale formulare giudizi. Egli, infatti, scrive che il fatto stesso di non trovar senso alla vita implichi il suo esserci, visto che la ricerca di un perché alimenta il tutto; il fatto stesso di cedere e non confidare in nulla sottintende l’aver scelto di credere a qualcosa, anche al nulla (credo davvero al nulla…). L’odio verso il prossimo, oltre a far vivere dentro una sorta di prigionia e di fobia, tende a far diventare odiosa anche la propria vita. “Tutti siamo ‘gli altri’ di qualcuno”. Questo è l’invito a chi si senta in disagio con gli altri, come se lui fosse il perno unico di una condizione disagiata.
Lo stesso atroce dilemma del saper prendere decisioni può esser rivisto, comunque, come volontà di scegliere, di porsi in una categoria, anche quella instabile dell’indecisione. Lo specchio, nel quale riflettere se stessi e il proprio linguaggio, o le figure attraverso le quali scorre il pensiero, valgono anche nel caso della fobia di non trovar un’anima gemella. Al riguardo sono interessanti (e rincuoranti) le parole di Rampin” “In effetti, non si trova la persona giusta: nessuno la trova. Si trovano persone momentaneamente giuste, e da lì in poi si costruiscono relazioni giuste (che funzionano) o non giuste (che non funzionano)”.
Tutto ciò in barba, direi, a certi messaggi provenienti dal piccolo e grande schermo, che impongono il sogno e vincolano molte giovani menti all’esclusiva ricerca dell’amore, in una strumentale “distrazione”. Un legittimo pragmatismo forse ridurrebbe gli insuccessi e le molteplici, nonché tragiche, storie interrotte.
A chi si senta perennemente sconfitto e abbandonato sentimentalmente, giovi ricordare l’elemento iniziale, quello di aver attratto e incuriosito.
La società attuale, sottolineo, ci pone sempre elementi vincenti, quali attori, cantanti, calciatori di successo, belli ed eleganti, capaci di travolgere tutto e di affermarsi. L’utente televisivo, inebetito, sogna di incarnare tali situazioni e percepisce il primo fallimento come l’inizio di un’interminabile serie. In questo caso l’autore fa notare come ci si debba meravigliare in caso di fallimento continuo, perché è quasi un primato, frutto di una strategia “vincente” almeno nei risultati.
Una maggior fiducia in sé, considerando gli eventi a 360 gradi, porterebbe anche a far divampare quei piccoli e grandi desideri che arricchiscono l’anima e che una vita mutuata dinanzi alle vicende altrui cerca di offuscare.
L’appello dell’autore è rivolto anche a chi, soprattutto fra i giovani, uniformi continuamente il proprio comportamento a quello che la massa intorno richieda, e faccia di tutto solo per piacere (o ritenere di piacere) rinunciando alla propria personalità.
A difesa dei genitori che si pongono il pensiero della bontà della propria azione (e per questo vincenti), scevri da protervia ed eccessiva autostima, Rampin dedica interessanti parole: “Baracconate mediatiche, libri divulgativi sulle supposte caratteristiche dei Buoni Genitori, rubriche televisive, consulenti operanti negli ambienti frequentati dai pargoli contribuiscono a mantenere alta la tensione dei genitori, che si autoesaminano alla luce dei dogmi sempre diversi che gli esperti propalano con tanto zelo”.
Attendere in continuazione di agire, perché si ritiene di non esser pronti, può condurre all’inazione, ecco, dunque, l’invito a osare, ad accettare il momento dell’esser in “condizione di”.
Rampin condanna altri due elementi propri della società moderna: il primo è quello di voler eliminare sistematicamente il senso di colpa, di indurre a perdonarsi sempre per sopprimere il rimorso, quando questo è l’unico ingrediente che può davvero condurre a una sana accettazione dell’errore.
L’altro invito, giova rinnovarlo, è quello di rivalutare il senso degli anni e invertire la tendenza odierna. “La stagione dei capelli bianchi, in passato onorata e guardata con sommo rispetto, oggi è bersaglio di strategie di ringiovanimento forzato (che la rendono grottesca) o di aggressioni di vario tipo, tutte espressioni del fatto che il vecchio, non essendo più produttivo, nuoce all’andamento generale dell’attuale società”.
Il richiamo, dunque, è nell’accettare la fallibilità dell’essere umano, con le proprie fobie, cercando, però, di non rimanerne vittima, individuando la situazione patologica in tutti i suoi aspetti, a riconsiderare il bicchiere nel suo essere mezzo pieno, ad accettare che ci sia “zizzania che non sia anche grano”. In tale processo è fondamentale, da qui lo scopo del volume, il linguaggio: alla formulazione di sentenze inalterabili è, invece, semplicissimo (e opportuno) porre un ridisegnamento semantico e sostanziale.


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