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Chi ha paura del “Generale Inverno”?

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Giovedì 10 Settembre 2009 – 7:43 – Marco Linguardo stampa
Chi ha paura del “Generale Inverno”?

Chi ha paura del “Generale Inverno”? In molti. Almeno così sembra, nonostante ci abbiano voluto far trascorrere sereni questa estate regalandoci momenti di avanspettacolo politico. Ma ora si fa sul serio. Così sul serio che il ministro dell’Economia Tremonti ha lanciato dal raduno ciellino di Rimini un’ipotesi che ha fatto rabbrividire molti. Giulio Tremonti è arrivato ad auspicare forme di partecipazione dei dipendenti agli utili aziendali. “Se ci fosse un avviso comune sulla compartecipazione all’utile dell’imprese – ha affermato testualmente il ministro dell’Economia – per concretizzare lo stare insieme nella stessa azienda, più di prima unendo insieme lavoratori e imprenditori, credo che questo sarebbe uno dei modi per uscire dalla crisi”. Ma vi rendete conto? Questa è una Rivoluzione! Quanti hanno scritto inascoltati di socializzare le imprese vedono ora la possibilità di vedere esaudito il loro sogno. Coloro i quali ogni notte ripetevano a mo’ di rosario il decreto legislativo n. 375 del 12 febbraio 1945 potranno gridare al miracolo. Tanta devozione - quando sgranavano il titolo III, art. 46 della Costituzione post-bellica sulla “Determinazione e ripartizione degli utili” che recita così: “Gli utili dell’impresa, detratte le assegnazioni di cui all’articolo precedente, verranno ripartiti tra i lavoratori, operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, in rapporto all’entità delle renumerazioni percepite nel corso dell’anno” - viene ora ricompensata. Per uscire dalla crisi ogni patto va bene, pure con il male assoluto. Ma in fondo quanti volete che sappiano di quel capitolo sulla socializzazione? Pochi, pochissimi. E quelli che lo sanno? Alzeranno i calici brindando ad un evento storico oppure comprenderanno che un governo liberal-capitalista pur di sopravvivere alla bufera è disposto a coinvolgere tutti? Anche i lavoratori?

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Fin qui forse soltanto a parole, ma (questo giornale lo nota da tempo, sfidando anche il biasimo di alcuni suoi lettori…) di brividi positivi, il ministro Tremonti sembra proprio un ottimo dispensatore.
In fondo era lui a esporre in bella vista sulla sua scrivania ministeriale un barattolo di pelati Cirio (spiegando ai suoi interlocutori che l’affaire della svendita di Prodi della Cirio Bertolli De Rica alla Unilever – e lo spezzatino conseguente - era stato assai sporco…). Era lui a percepire avvisaglie di crisi finanziaria mondiale. Era lui a proporre la necessità di reimporre dazi verso le importazioni extraeuropee. Era lui a criticare Draghi & Co, per le cosiddette “liberalizzazioni” delle industrie strategiche nazionali. Era lui a imporre per legge – capitolo inattuato – il rientro al Tesoro di un patrimonio (le quote della Banca d’Italia) detenute illecitamente da istituti di credito dediti esclusivamente ai fare profitto privato. Era lui a proporre alle banche un aiuto (i “Tremonti bond”, appunto)… ma non a fondo perduto per risollevarsi da inavveduti investimenti in derivati o in strutture malsane all’estero.
Era ed è lui ad affondare il dito nella piaga determinata dalle centrali plutocratiche del profitto e dell’usura.
Ed è lui a indicare nella partecipazione dei lavoratori alla gestione ed agli utili delle aziende un metodo di risanamento sociale dell’economia.
Agli stessi mezzi di comunicazione di massa pro-governativi questo Tremonti “rivoluzionario” – molto a parole, poco nei fatti, certo… ma è o non è quest’uomo costretto a cimentarsi in un mondo liberaldemocratico, in un’Europa liberaldemocratica, in un’Italia liberaldemocratica, in una politica liberaldemocratica (di destra e di sinistra)? – non piace.
Lo faranno fuori? Come il suo predecessore richiamato da Linguardo e come De Gaulle castigato nel 1969 da tutte le lobbies proprio per aver parlato di partecipazione, per mettere nelle stesse mani, gradualmente, capitale e lavoro?
Non lo sappiamo. Sta di fatto che Tremonti ha, almeno, il coraggio di dire ciò che pensa. Di tentare qualcosa, e di dire ciò che sarebbe giusto fare.
Non è poco.
Ugo Gaudenzi

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