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Strategie bolivariane

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Venerdi 11 Settembre 2009 – 15:20 – Enea Baldi stampa


Per quanto non si voglia credere che presto gli Usa potrebbero minacciare l’integrità nazionale di Venezuela, Bolivia e Ecuador per l’accaparramento di petrolio e gas, non si possono però sottovalutare certe strategie europee che, attraverso il silenzio stampa e l’ideologia del pensiero unico, rispettando fedelmente i dettami di Washington, non esitano ad ignorare o a screditare quei capi di Stato che ancora credono nell’autonomia dei popoli. Quando si tratta di colpire i “nemici della democrazia”, l’Unione europea, unanime, mette in moto tutti i meccanismi possibili di demonizzazione o di ostracismo mediatico, a seconda dei casi.
Ecco che allora la notizia di Chávez che fa alleanze strategiche con la Russia, per alcuni “puzza di bruciato”, di sovversivo, insomma di antidemocratico.
Uno dei maggiori timori dell’Occidente neoliberista, oltre alla rinascita della Russia e alla perseveranza del “dittatore” Ahmadinejad, è proprio quello delle alleanze “cháviste”.
Il presidente bolivariano fin dall’inizio del suo mandato, ha sempre cercato il dialogo e la solidarietà, con l’unico obiettivo di riedificare il continente latinoamericano libero e sovrano e non più cortile di casa yankee; è Chávez che ha voluto profondamente l’Unasur, quale punto di forza politica da opporre alle strategie liberiste di Washington.
Ieri Chávez era a Mosca per concludere la negoziazione di una serie di contratti per armi. Il presidente bolivariano non aveva ancora messo piede sul suolo russo che già i giornali embedded titolavano altisonanti circa il pericolo dell’alleanza tra Russia e Venezuela o addirittura ironici come lo “shopping di armi a Mosca di Chávez”.
La stessa enfasi mediatica non si sollevò però, quando il 1 luglio del 2008 gli Usa decisero di ripristinare in America Latina la IV flotta navale dismessa subito dopo la fine della II Guerra Mondiale.
Il presidente Venezuelano ha aperto alla cooperazione tecnico militare con la Russia per creare un’opposizione all’imperialismo aggressivo degli Usa e ha più volte dichiarato pubblicamente di temere per un ingresso terrestre di soldati Usa attraverso la Colombia; e si sa, Washington non è avvezza a troppa sincerità. Loro possono liberamente decidere di dispiegare in Repubblica ceca e in Polonia elementi di difesa strategico-spaziale, ma non tollerano, ad esempio, che Ahmadinejad possa ricorrere al nucleare per soddisfare le esigenze energetiche del suo popolo, ed è sempre la solita storia.
Gli Usa sono a conoscenza del fatto che la triade bolivariana formata da Venezuela Bolivia ed Ecuador, sia il vero punto di forza strategica. Ed è principalmente la solidarietà tra queste tre nazioni che sta cambiando radicalmente l’identità politica dell’America Latina, attraverso un processo rivoluzionario lento e pacifico… per ora.
Esempio di cooperazione tra i popoli latinoamericani è il sostegno che il governo venezuelano ha deciso di offrire a quello boliviano per la costruzione di due strutture militari nelle regioni del Pando e di Santa Cruz, due “feudi” dell’opposizione autonomista al presidente Evo Morales. Il 6 dicembre prossimo in Bolivia si terranno le elezioni generali. A correre per le presidenziali saranno proprio quei governatori autonomisti, come Leopoldo Fernández della provincia di Pando, deposto e tutt’ora in carcere con l’accusa di aver ordinato il massacro di contadini avvenuto l’11 settembre 2008 nell’area del Polvenir; o come Manfred Reyes Villa ex governatore del dipartimento di Cochabamba, un ex militare golpista.
Le risorse messe a disposizione dalla cooperazione venezuelana, saranno utilizzate per la costruzione di nuove infrastrutture per il Comando amazzonico nel Pando e di una caserma nella località di San Ignacio de Velasco a Santa Cruz. Formalmente serviranno per rafforzare la lotta al narcotraffico e al contrabbando ma di certo offriranno anche un supporto per contrastare eventuali e violente sollevazioni – come già più volte accaduto - da parte dell’oligarchia delle province autonome nei confronti degli indios che sembrano pronti a contrastare in ogni modo il furto ai danni delle loro terre programmato dai latifondisti locali e dalle società di appalto estere, forti del fatto che ora finalmente hanno un presidente della Repubblica dalla loro parte. La Paz ha deciso infatti di destinare tutti i fondi alla realizzazione delle due opere, accantonando l’idea di utilizzarne una parte per la realizzazione di una caserma nel Beni e di un porto fluviale civile nella zona di frontiera con Brasile e Paraguay.

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