“Il mondo è sull’orlo di una recessione globale e nessun Paese è immune da crisi”. Queste sono le parole di Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale, che ieri ha poi invitato tutti i Paesi a cooperare per aiutare l’economia a uscire da una “crisi senza precedenti”. Questa però non è la verità o, almeno, non è tutta la verità. E’ vero che questa è la crisi più grave del sistema capitalista dal 1929 ed è vero che nessun Paese della sfera capitalista è immune dalla recessione, ma esistono nazioni che, proprio per il fatto di non appartenere a tale sfera, possono guardare alla crisi con tranquillità. E’, per esempio, il caso del Venezuela e il presidente Hugo Chavez ha chiaramente spiegato le ragioni per le quali Caracas non verrà toccata dalla crisi: perché l’economia è controllata dallo Stato che direttamente governa tutti i settori strategici, perché le banche venezuelane non sono coinvolte in operazioni di pura speculazione finanziaria sul mercato globale, ma hanno finanziato progetti per infrastrutture, spesso in collaborazione con un’altra nazione ugualmente estranea al sistema capitalista, perché saldi rapporti di vera solidarietà con altre nazioni garantiscono un mercato per merci fondamentali senza pericolo di inflazioni improvvise nate sulla spinta di speculazioni. Chavez sa quello che sta facendo e in fondo non sta inventando nulla, sta semplicemente facendo tesoro della storia. L’Italia affrontò la crisi del 1929, che poi in realtà durò per tutti gli anni ’30, nello stesso modo e fu una scelta vincente che portò la lira quasi alla parità con la sterlina. La giovane e economicamente debole Italia, poco industrializzata e ancora prevalentemente agricola, senza nemmeno colonie da sfruttare, avviò un gigantesco piano per la realizzazione di importanti opere pubbliche: furono costruite intere città, bonificate vastissime aree paludose, costruiti ponti, strade, ferrovie, stazioni, porti ed aeroporti. L’Italia di quegli non conobbe così disoccupazione e mentre le industrie di tutto il mondo andavano in crisi quelle italiane prosperavano e sperimentavano nuove tecnologie. L’operazione più importante fu forse però la riforma bancaria del 1936 ed ancor prima vennero creati l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) con il compito di assicurare i finanziamenti di medio-lungo periodo e poi l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che acquisì le partecipazioni azionarie delle banche in difficoltà e i pacchetti di controllo delle banche stesse. La riforma bancaria, purtroppo in gran parte abrogata nel 1993, ridisegnò l’intero assetto del sistema creditizio nel segno della separazione fra banca e industria e della separazione fra credito a breve e a lungo termine; definì l’attività bancaria funzione di interesse pubblico; concentrò l’azione di vigilanza nell’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito (organo statale di nuova creazione), presieduto dal governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d’Italia, ma diretto da un comitato di ministri presieduto dal capo del governo. L’Italia di quegli anni era piuttosto isolata ed addirittura nel 1938 arrivarono le inique sanzioni, imposte da una nazione colonialista come l’Inghilterra con il pretesto della guerra in Etiopia. L’autarchia fu sicuramente pesante da sopportare per gli italiani, ma l’isolamento in qualche modo fu una protezione della nostra economia così come la globalizzazione è oggi un cavallo di Troia. La crisi c’è, ma ci sono anche i rimedi e non è stato sufficiente riscrivere i libri di storia per cancellare la verità. Alla fine la storia emette sempre le sue condanne. Il sistema capitalista per uscire dalla crisi scatenò una guerra mondiale. Vogliamo usare quello stesso sistema o la medicina “italiana”?
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