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Somalia: la discarica dei rifiuti occidentali

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Mercoledì 15 Ottobre 2008 – 15:36 – Francesca Dessì stampa
Somalia: la discarica dei rifiuti occidentali

Il destino ambientale del Putland sarebbe il movente del sequestro della Faina, la nave ucraina assaltata lo scorso 25 settembre dai pirati (nella foto un’imbarcazione corsara) al largo delle coste somale. Il riscatto di 8 milioni di dollari andrebbe in parte a coprire i costi dei danni causati dai rifiuti tossici scaricati sulle coste somale fin dai primi anni ’90. Non solo. L’affrancamento sarebbe un risarcimento per la pesca illegale esercitata dai russi, cinesi e occidentali. Secondo i pirati, infatti, parte dei soldi incassati servirà a ripulire le coste somale. Una giustificazione, che nasconde i personali interessi economici dei “Robin Hood” dei mari, ma al tempo stesso richiama l’attenzione internazionale su una problematica ormai dimenticata: le navi dei veleni che solcano le acque del Mediterraneo e che lasciano i rifiuti tossici nelle spiagge somale. Dagli anni Novanta, la Somalia è, infatti, una discarica internazionale. Più volte, l’Environment programme dell’Onu ha dato l’allarme di un disastro ecologico, denunciando un traffico di rifiuti pericolosi per l’ambiente ma ancor di più per le persone che vivono in quel territorio. Un malaffare che nel 1994 costò la vita a Ilaria Alpi e del suo cameraman, Miran Hrovatin. I due giornalisti avrebbero scoperto un traffico internazionale di veleni, sostanze tossiche e radioattive prodotte nei Paesi industrializzati e stipati nei Paesi poveri dell’Africa, in cambio di tangenti e armi scambiate coi gruppi politici locali. Un’inchiesta scomoda che avrebbe coinvolto molte personalità di spicco dell’economia italiana e internazionale. E’ da qualche tempo, quindi, che la Somalia, devastata da 18 anni di guerra civile, rappresenta un facile modo di liberarsi di scomodi rifiuti. Perché non solo costa meno di 2,50 dollari a tonnellata, mentre in Europa arriva a qualcosa come 1000, ma si tratta di scarti industriali, ospedalieri e chimici che nessun Paese vuole e che stanno causando nel Putland malattie, cancri alla bocca e all’addome, emorragie e infezioni alla pelle. Particolare insignificante per le industrie europee, che pagano tangenti ad alti funzionari e ottengono i permessi per scaricare i veleni nella sabbia. In cambio, i somali ricevono anche armi per combattere. Un baratto molto semplice e redditizio, in cui la fanno da padrone la mafia e la criminalità organizzata che collaborano con le industrie occidentali. Si pensi al cosiddetto “progetto Urano”, con ogni probabilità la causa dell’uccisione della Alpi e di Hrovatin, che pare prevedesse di insabbiare in tre località desertiche del Sahara grandi quantità di rifiuti nocivi provenienti dall’Italia. Si parla di fine anni Ottanta, ma l’ex colonia italiana è ancora vittima di questo intreccio mortale. Nonostante, infatti, nel 1992 sia stata ratificata dall’Unione Europea e da altri 168 Stati la “Basel convention on the control of transboundary movements of hazardous wastes”, che vieta l’invio di rifiuti pericolosi ad una zona di guerra, gli scarti tossici delle industrie continuano a passare sotto la cecità di americani, europei, russi e cinesi che pattugliano i mari somali dal pericolo dei corsari. Incuranti che i pirati più pericolosi della Somalia sono quelli in giacca e cravatta delle grandi industrie che si celano in società fittizie.

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