I motori dell’uomo e della storia sono sempre e solo di ordine biologico: dalla fame propriamente detta alla frustrazione esistenziale, che è un’inibizione esterna alla risposta ai bisogni-diritti naturali. Marx ha ragione fino al punto in cui sostiene che la condizione proletaria (di bisogno o di frustrazione) spinge il soggetto ad una “ripresa violenta” (dal furto di cibo all’estorsione, all’ appropriazione collettiva di beni altrui e così via), cessa di avere ragione quando sostiene che quella sia la base per una vocazione-missione rivoluzionario-socialista. Una risposta primitiva alle pulsioni è l’aggressione del “diverso”, ritenuto come causa della nostra fame o frustrazione in termini di sottrazione o di concorrenza. Per questo il diverso faceva paura (eterofobia). Oggi per “omofobia” s’intende la repulsione per il nostro simile che cerca partner dello stesso sesso: è ritenuto un “diverso” rispetto alla normalità secondo il protocollo schematico e rigido dell’ignorante. Ove non giunge la fame propriamente detta può giungere la frustrazione che, assieme all’eterofobia, richiede la compensazione. E’ il caso del tifo aggressivo e della faziosità politica o delle guerre di religione. Non è l’ideologia (o fede) che fa l’uomo: è l’individuo che si fa un’ideologia su misura, anche se varia, ovvero una motivazione psico-emotivamente valida. Nessuna catechesi (religiosa o politica) può fare presa su un soggetto se non si aggancia ad un’indole innata e ad uno stato di bisogno o di frustrazione. Il gruppo o branco è solo una condizione psicodinamica in cui l’aggressività animale trova una più facile via di esternazione – in una responsabilità collettivo-apersonale – come quella, oggettivamente gratuita, dei cinque giovani di Verona che hanno ucciso un sesto soggetto, forse reo di essere “diverso” o di non avere acconsentito alla richiesta di una sigaretta. Quanto detto non esime dalla responsabilità individuale né dalla necessità della pena, non solo perché essere civile significa sapere gestire in maniera nonviolenta le proprie pulsioni ma anche perché solo così è possibile una comunità di ex-animali protesa all’evoluzione “umana”. Naturalmente, un contesto sociale, che sempre meno risponde ai diritti naturali di tutti e non educa alla sovranità etica ma all’attività ludica sfrenata (vedi “discoteca”), sempre più si espone al rischio di “violenza gratuita”, come ci insegna la più grande giungla antropomorfa degli Usa, sempre più emulati dall’Occidente. Perciò, il discorso del caso di Verona non è politico nel senso corrente della parola, ma psichiatrico. Le rivendicazioni di un partito e le prescrizioni di una religione come le aspettative di una squadra di calcio, possono solo offrire le motivazioni psicologiche immediate di ragioni che stanno nel profondo dell’antropozoo (uomo-animale).
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