Quando ci si trova davanti ad una illustrazione, ad un dipinto o ad una scultura di Luigi Serafini, si entra in uno stato d’animo particolare. Un senso di fantastica e sconfinata vivacità ci assale e ci fa riscoprire, attraverso un caleidoscopio della memoria, l’esaltazione delle forme e dei colori dell’infanzia. E’ un Mondo magico quello di Serafini che risponde però a regole e meccanismi ben precisi; e se da alcuni “critici” disattenti e mai puerili i suoi lavori sono stati definiti alla stregua di quelli di un “dilettevole artigiano”, molti, sicuramente più autorevoli, si sono appassionati al suo modo fantastico di rappresentare la vita, tanto da definirlo uno tra i più apprezzabili esponenti di Arte Contemporanea. Fra gli intellettuali più raffinati che ne hanno rilevato il genio, spiccano i nomi di Federico Zeri, Leonardo Sciascia, Federico Fellini, Vittorio Sgarbi, Roland Barthes, Italo Calvino... Luigi Serafini, nasce a Roma nel 1949, si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano nel 1977 e inizia a lavorare con diversi studi di architettura. Nel 1981 pubblica il Codex Seraphinianus, che richiama l’attenzione del noto saggista e critico letterale francese, Roland Barthes e su cui Italo Calvino scriverà un saggio pubblicato nella raccolta “Collezione di sabbia” (Oscar Mondadori). Il Codex Seraphinianus, che tra gli altri ha ispirato anche il coreografo Philippe Decouflé, è un imponente libro illustrato con migliaia di disegni e note interpretative, dove le forme sono tutte inventate e i testi sono scritti in una lingua immaginaria. Il mondo del sogno e della fantasia, parallelo al vivere quotidiano. L’opera nasce tra il 1976 e il ‘78, quando l’artista, al ritorno da un viaggio in California, contagiato dallo spirito comunitario degli hippies, decide di eseguire qualcosa con lo stesso orientamento visionario e giocoso, qualcosa da far circolare, da diffondere. “Doveva essere un’opera da condividere”, dirà Serafini in un’intervista a Panorama.it. Così gira mezza Italia in cerca di un editore per farne un libro. L’idea piacque a Franco Maria Ricci che lo editò nel 1981 (ristampato da Rizzoli nel 2006). Nel fantasioso codice, Luigi Serafini ripercorre i campi della conoscenza, dalla zoologia alla botanica, dalla mineralogia all’etnografia, dalla fisica alla tecnologia, e crea degli esseri spuri. Alcune tavole del Codex, costituiscono delle vere e proprie situazioni del contemporaneo: uomini primitivi che al posto delle armi brandiscono segnali stradali oppure illustrazioni anatomiche e spiegazioni su come si deambula. Le simbologie del Codex, ci riportano a Jorge Luis Borges che nel suo “Manuale di Zoologia fantastica”, pubblicato nel 1967 e nel quale l’autore ripercorre in una breve digressione gli animali fantastici incontrati durante le sue letture delle “Mille ed una notte”, dei testi di Omero, passando per la Bibbia fino al “Milione” di Marco Polo. Creature surreali al confine tra sogno e realtà, in cui la realtà materiale si confonde con la realtà sensibile. Michel Foucault, nel suo saggio “Le parole e le cose. Un’archeologia delle Scienze Umane”, definì queste immagini irreali come un ingresso nella dimensione dell’eterotopia, ovvero un luogo del realizzabile che costituisce un contro luogo, in cui il mondo reale è rappresentato e allo stesso tempo sovvertito. L’eterotopia sarebbe una sorta di contenitore contrastante l’utopia che presuppone la non realizzazione. L’artista romano oltre ad essere pittore, scultore, ceramista, orafo… ha dedicato la sua arte anche al design: nel 1981 con Menphis di Ettore Sottsass e poi con progetti dall’impronta chiaramente metalinguistica, come le sedie “Suspiral” e “Santa” per Sawaya & Moroni o i vetri e le lampade di Artemide. Per il cinema ha ideato e disegnato la locandina de “La voce della Luna” di Federico Fellini, con Roberto Benigni e Paolo Villaggio. Nel teatro ha realizzato luci, scene e costumi per il balletto “Jazz Calender” di Frederick Ashton al Teatro alla Scala. Nel 1999 è stato finalista per la miglior scenografia al Premio Ubu con “Materiali per una tragedia tedesca” prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, sugli anni della Baader Meinhof. Dal 2003, all’uscita della stazione Mater Dei della nuova Metropolitana di Napoli, è presente una grande scultura in bronzo, “Carpe Diem”, con una pavimentazione in bassorilievo di poliestere colorato, “Paradiso Pedestre”. Tra le innumerevoli opere che caratterizzano la poliedrica vivacità, nonché la formidabile alchimia linguistica di cui è dotato Serafini, una in particolare è il “Notturno napoleonico ovvero il Giuramento degli Orazi e dei Carpazi”: uomini carpe, con il povero Napoleone che chiede lealtà ai suoi soldati in un universo surreale.
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