Poche notizie trapelano dalla zona devastata dal ciclone Nargis. Quelle poche sono terribili: milioni i senza tetto, i morti sono oltre 60mila ma il numero è in continuo aumento. Migliaia i corpi che fluttuano sull’acqua; uomini, donne e bambini sopravvissuti alla collera dei venti e del mare, giacciono ovunque, senza casa e senza alcun riparo; i feriti attendono i soccorsi, consapevoli di avere poche possibilità di sopravvivenza. Questa è la triste cronaca del Paese asiatico già in mano alla follia ideologica. Un regime che sette giorni fa ha ignorato con superficialità l’allarme lanciato dalle organizzazioni internazionali, che avvisavano l’ex Birmania dell’arrivo del terribile Nargis, il ciclone con venti di oltre 240 km orari. Ai giornalisti è impedito che le notizie si diffondano a livello internazionale. La televisione di Stato ha annunciato, l’altro ieri, l’espulsione di un giornalista della Bbc, Andrei William harding. Il corrispondente per l’Asia dell’emittente britannica, inserito nella lista nera dei giornalisti stranieri, è stato fermato due giorni fa dall’ufficio immigrazione all’aeroporto di Yangon e rimandato indietro in Thailandia. Il regime militare, filo comunista, raramente concede ai giornalisti stranieri di entrare nel Paese e autorizza soltanto l’agenzia di stampa di Pechino Xinhua a servirsi di cinesi del posto come corrispondenti. Una situazione paradossale, aggravata dalle prese di posizioni delle autorità del Paese, che inizialmente avevano negato l’accesso agli aiuti umanitari, mentre il mondo si mobilitava per soccorrere la popolazione. Sotto la pressione internazionale, la giunta militare del Myanmar ha autorizzato un volo di aiuti di emergenza dell’Onu. Lo ha reso noto la portavoce dell’agenzia per il coordinamento degli Affari umanitari, Elisabeth Byrs. E’finalmente è atterrato a Rangoon il primo volo umanitario dell’Onu per soccorrere la popolazione inerme: a bordo del velivolo, decollato mercoledì da Brindisi, vi erano 30 tonnellate di beni di prima necessità richiesti dalle autorità della capitale birmana, per un valore complessivo di 465.000 euro. L’Unicef, dopo il permesso riconosciuto, sta cercando di distribuire gli aiuti umanitari nel minor tempo possibile; 130 operatori in queste ore, stanno lavorando nelle cinque regioni più colpite per distribuire aiuti essenziali e urgentissimi. Intanto, la Fao ha lanciato l’allarme che gli effetti del ciclone avranno un disastroso impatto sulla produzione di riso del Myanmar, che quest’anno avrebbe dovuto esportarne 600.000 tonnellate. La tempesta, che ha colpito cinque stati, circa il 65% della superficie del Paese coltivata da riso, potrebbe provocare “penurie localizzate di cibo” e richiedere importazioni dall’estero. La Commissione europea si è detta preoccupata per le numerose difficoltà d’accesso degli aiuti umanitari a Myanmar, aggiungendo che non è però possibile forzare la linea dura adottata dalle autorità birmane. “Mettiamo l’accento sugli sforzi diplomatici per convincere le autorità birmane che il miglior modo d’aiutare la popolazione bisognoso è autorizzare le organizzazioni umanitarie a lavorare in modo indipendente” ha detto, a Bruxelles, Amadeu Altafaj Tardiu, portavoce del commissionario Ue allo Sviluppo e agli Aiuti, Louis Michel. Anche Amnesty International, in un comunicato di ieri, ha sollecitato la giunta birmana a cooperare con le organizzazioni di soccorso internazionali, e ha chiesto di rimuovere le restrizioni al rilascio dei visti e alle lente procedure doganali che, negli ultimi giorni, hanno provocato difficoltà all’ingresso delle comunità internazionali. Mentre il governo stenta a riportare il Paese alla normalità, il giornale di stato, La Nuova Luce di Myanmar, ha annunciato che “il referendum sulla bozza di Costituzione si terrà sabato 10 maggio e che le elezioni pluripartitiche e democratiche si svolgeranno nel 2010 come previsto dalla Costituzione.” Così è stata smentita la preoccupazione di molti analisti, che avevano ipotizzato che, dopo la catastrofe, la giunta militare potesse approfittare dell’emergenza per bloccare il referendum, che dovrebbe porre fine alla dittatura.
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