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Comunisti di Mercato

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Sabato 15 Marzo 2008 – 12:57 – Ugo Gaudenzi stampa
Comunisti di Mercato

No. Non ci riferiamo a chi ancora si definisce comunista. Né a Bertinotti, né a Diliberto, né a Ferrando né a Turigliatto, né ai marxisti-leninisti, né ai trotzkisti.
Ci riferiamo a quello stuolo di trinariciuti che, “esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”, attraverso contorti cammini peripatetici (anche senza il “peri”...) si ritrovano oggi sotto il simbolo del Pd.
Tanto per fare qualche nome: i Fassino, i Veltroni, i D’Alema, o i loro ex sottoposti, i “quadri” Bersani, Visco, Burlando; e ci fermiamo qui per non salire altri Colli e/o poltrone. Ai tempi dell’esaurimento del Partito, erano i manovratori di secondo livello, quelli designati alla successione dei vari Togliatti e Longo, Berlinguer e Natta.
Erano i custodi del Sancta Sanctorum dell’ideologia; anzi: della prassi da seguire per far trionfare il comunismo nelle sue due direttrici della lotta di classe e dell’internazionalismo proletario secondo quanto indicato dal Migliore dalla “svolta di Salerno” - la via nazionale al comunismo - in poi. Tetragoni nel loro compito. Deferenti a Mosca e alle dottrine Krusciov (Ungheria) o Breznev (Cecoslovacchia), critici - forse per reminiscenze ortodosse da Comintern - con Tito o Castro e Guevara. A quei tempi i Bertinotti e i Diliberto e i chi come loro o erano socialisti o scalavano perifericamente il Gran Partito preferendo nicchie dedicate all’intellighentsia omologata.
Ecco, proprio loro, i trinariciuti, quelli con tre fori sul naso e il Capitale in testa, quelli duri, ortodossi e puri, sono oggi il fior da fiore del movimento (si fa per dire) “liberal” o “democratico” italiano. Sospinti da tre o quattro folate di vento, prima si sono reinventati “socialisti” - passando dalla III alla (seconda) Internazionale complice un distratto Cariglia (Psdi) e un irato Craxi (Psi) - quindi hanno mormorato qualcosa sul riformismo, sul progressismo, sulla socialdemocrazia (con Bauer e Bernstein, Turati e Saragat di certo scossi nelle ossa), per trasvolare nella “New Left” prima e quindi nello “Yes, we can” oggi, con condimento di guerre atlantiche (Serbia, Afganistan, Vicino Oriente), servilismo agli ordini di Londra e Washington, delle Banche, dell’Usura finanziaria internazionale, della Globalizzazione, delle privatizzazioni e del Dio Mercato.
Ascoltateli bene, quando nei salotti televisivi discettano di privatizzare e svendere, per esempio, l’Alitalia, ad una compagnia di bandiera aliena, nel nome del “mancato profitto d’impresa” anche a costo di mandare a ramengo, ma a spese - sempre - dello Stato i lavoratori, i tecnici sui quali la nazione, il popolo, noi, abbiamo investito per garantire un futuro di sviluppo.
Ascoltateli bene quando propongono ricette iper-liberiste, infarcite dei luoghi comuni del capitalismo, della società spettacolo, delle politiche del “welfare” all’americana, dei panegirici sulla ineluttabilità del multiculturalismo e della più ampia accoglienza di immigrati che andranno a ridurre ancora di più i posti di lavoro e il reddito complessivo degli italiani.
Ascoltateli bene quando si dichiarano “europeisti” e non solo bombardano la Serbia europea ma dichiarano fedeltà al Pentagono, alla Banca Mondiale, a Wall Street e alla City.
Ascoltateli bene. Fanno finta di essere “Illuminati” da sempre, dalla culla. Nel biberon avevano bevuto latte di classe e internazionalismo proletario.
Poi hanno letto su qualche libro del MIT che la lotta di classe non era più di moda (proprio mentre emergeva ovunque, in particolare tra i peronisti della sinistra argentina la corretta analisi di una società mondiale che a cavallo del millennio era ormai divisa in due: oppressori ed oppressi, sfruttatori e sfruttati... ) e l’hanno rimossa e archiviata. Contemporaneamente all’internazionalismo, un po’ indigesto e “vetero” hanno sostituito” un termine simile: globalismo, globalizzazione, il meticciato economico culturale globale.
E via! Di nuovo in sella.
Hanno cambiato casacca, hanno cambiato padrone, ma sono rimasti quelli di sempre, quelli più odiosi tra i “comunisti”. Non i lavoratori, non quelli che credevano al Sole dell’est, ma i finto-intellettuali, i trinariciuti, i tetragoni arroganti, i tuttologi, quelli con cui era impossibile - allora come ora - un dialogo, un confronto, uno scambio libero di idee.
I “Comunisti di Mercato”, appunto. Fieri della loro idiozia spocchiosa e ammantata da conoscenza delle cose. Ma camaleonti. I più pericolosi

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