Nuove ombre nere incombono sulla missione Monuc, presente in Congo dal 2000 per aiutare la popolazione e monitorare la crisi che coinvolge l’intera regione dei Grandi Laghi. Un rapporto dell’associazione statunitense Human rights watch, diffuso ieri a Kinshasa, ha, infatti, accusato la più grande missione Onu dislocata in un Paese in guerra, di essere responsabile del massacro di Kiwanja, dove, tra il 4 e il 5 novembre, morirono circa 208 persone per mano dei ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo. La vicenda, ricostruita in seguito ad interviste con le vittime, con gli operatori umanitari e le organizzazioni umanitarie, risale al 28 ottobre scorso, quando l’esercito congolese, dopo aver compiuto i loro abitudinari saccheggi e stupri, abbandonò la città dinanzi all’offensiva inarrestabile dei ribelli tutsi, che presero la città senza sparare alcun colpo. La settimana successiva, Kiwanja fu sconvolta da un attacco a sorpresa dei Mai Mai, le milizie territoriali, che furono duramente sconfitte dai tutsi. A questo punto, Nkunda, risentito dell’affronto, diede inizio al massacro, accusando alcuni residenti di spalleggiare i Mai Mai e addirittura di ospitarli nelle loro abitazioni. Secondo alcune testimonianze, in realtà, l’autore di esecuzioni sommarie e fucilazioni sommarie sarebbe stato il luogotenente di Nkunda, Jean Bosco Ntaganda, soprannominato Terminator, che salvò la vita solo a coloro che possedevano abbastanza soldi da comprarsi la vita. La popolazione è tuttora terrorizzata dalla rappresaglia di Nkunda e hanno abbandonato del tutto la città Kiwanja, ormai fantasma. Ma la vera denuncia del rapporto riguarda il mancato intervento dei Caschi blu della missione Monuc, la cui base si trovava ad un chilometro e mezzo dalla città. Nel documento si legge: “Deficienze logistiche, priorità non chiare e personale al limite hanno fatto si che tra il 4 e il 5 novembre la priorità della Monuc fosse assicurare la sicurezza di alcuni operatori umanitari, di un giornalista straniero e di un gruppo di osservatori militari piuttosto che quella di proteggere i civili.” Mentre secondo il comandante della base di Kiwanja, H.S. Brar, i Caschi blu sono stati presi completamente alla sprovvista a causa di un “insieme di circostanze”, tra cui “scarsa comunicazione, scarso organico, scarsi mezzi e una buona dose di fortuna”. L’omissione di soccorso della Monuc e la sua incapacità di proteggere la popolazione sembrerebbe, con il passare degli anni, più dettata dalla permanenza nell’esercito di militari e addirittura alti ufficiali, provenienti dal Paraguay, Uruguay, Guatamela, Bangladesh e altri Paesi, che senza comprendere il francese e, soprattutto, senza neppure un interprete in grado di parlare la lingua dei vari gruppi operanti nella regione, non sono in grado di sapere cosa accade nell’area. E, soprattutto fino a quando ci saranno missioni con mandati così deboli, in cui il contingente Onu può intervenire solo se attaccato, la popolazione sarà ancora vittima di stupri, saccheggi, violenze e genocidi. Intanto, l’Onu cerca di distogliere l’attenzione internazionale dall’inchiesta dell’Human rights watch presentando un nuovo rapporto in cui denuncia il governo di Kibali e quello di Kinshasa di aver sostenuto finanziariamente e militarmente i gruppi ribelli attivi nel Nord Kivu. L’inchiesta, che sarà presentata al Consiglio di sicurezza la prossima settimana, incolpa Kigali di aver fornito armi e bambini-soldato ai ribelli tutsi, mentre le truppe regolari di Kinshasa hanno garantito aiuti ai miliziani hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda. Una verità già risaputa da tempo.
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